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Channel: fine dei tempi – Il blog di Gianluca Marletta

Sabato 13, grande convegno a Roma su: TEMPI ULTIMI e RESTAURAZIONE FINALE

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Convegno Fine dei TempiSabato 13, a Roma, un convegno unico nel suo genere, organizzato dal Centro Studi Internazionali “Dimore della Sapienza”, metterà a confronto esperti Cristiani e Musulmani, insieme a studiosi non aderenti ad alcuna religione, sul tema affascinante e inquietante della FINE dei TEMPI.

Il convegno avrà luogo presso la Libreria-galleria delle arti “L’Universale”, sita in via F. Caracciolo 12 (Metro Cipro), dalle ore 10.00 alle 20.30. L’ingresso é gratuito ed é possibile pranzare in loco previa prenotazione al numero 3297223003.

Il Programma della giornata é visionabile nella locandina. 

 


Tempi Ultimi e Restaurazione Finale, Editrice Irfàn

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Tempi Ultimi e restaurazione finaleUn’opera unica, un saggio affascinante che mette insieme, per la prima volta, contributi di studiosi cristiani e musulmani sul tema della fine dei tempi. La crisi finale e i segni della Fine, l’allontanamento dal Divino e la Grande Apostasia, l’attesa del Mahdi e il ritorno di Cristo, la resurrezione dei corpi in chiave teologica e nell’ottica metafisica. Contributi di Paolo Rada, Nuccio D’Anna, Gianluca Marletta, Alberto Perani, Demetrio Giordani, Eduardo Ciampi, Mario Polia, Giuseppe Aiello, Ali Reza Jahali, Ghorban Alì Pourmarjan.

 

 

 

Indice dell’opera:

Paolo Rada
Regressione delle caste e dissoluzione finale

Edoardo Ciampi
Orizzonti ecumenici di fine Kali Yuga

Nuccio D’Anna
La IV Egloga di Virgilio e il rinnovamento del mondo

Gianluca Marletta
Fine dei Tempi e Resurrezione dei morti nella Rivelazione cristiana

Alberto Perani
Cieli e Terra Nuova: l’escatologia cristiana in Silvano Panunzio

Demetrio Giordani
Il Mahdi e Gesù figlio di Maria. I segni della fine dei tempi nelle fonti dell’Islam sunnita

Ghorban Alì Pourmarjàn
La dottrina del Mahdi nella storia politica contemporanea dell’Iran

Mario Polia
Apocalissi e libero arbitrio

Giuseppe Aiello
L’Attesa dell’Alba: l’uomo e la società alla fine di un mondo

Recensioni:
Ali Reza Jahali, I fanatici dell’Apocalisse (di Maurizio Blondet)
Eduardo Ciampi, L’ultima Notte del mondo (di C.S. Lewis)

“Nemmeno un capello del vostro capo”. Metafisica della Resurrezione dei corpi

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resurrezione dei corpi. 1Pur essendo dogma del Cristianesimo come delle altre religioni abraminiche – presente, benché in prospettive diverse, anche in altre tradizioni spirituali- la dottrina della Resurrezione dei Corpi solo di rado viene inquadrata in quell’ottica metafisica che sola potrebbe farne intendere il senso più profondo. Questa è la ragione per cui tale dogma sembra essere diventato oggi quasi incomprensibile alla maggior parte dei nostri contemporanei, e viene  visto, anche dalla maggior parte dei teologi, in maniera davvero “mitologica” (ovvero come ritorno dell’essere ad un’esistenza fisica identica a quella presente), o puramente metaforica, quale simbolo di una possibile “sopravvivenza” della nostra “individualità” dopo la morte fisica.

INDIVIDUALITA’ E PERSONALITA’

Riguardo al concetto di “individualità” e all’idea che essa possa “sopravvivere alla morte”, d’altronde, è necessario più che mai essere chiari con i termini, perché se considerata in una prospettiva puramente temporale, è evidente che la nostra “individualità” –intesa nell’accezione “psicologica” con cui di solito la si indica- non è meno evanescente e transeunte dello stesso corpo fisico e, come quest’ultimo, sottoposta a continui cambiamenti e trasformazioni che ne inficiano ogni illusione di “unità”.

Al contrario, da una prospettiva non più temporale ma metafisica, l’individualità umana è realmente, almeno sul suo piano specifico, qualcosa di reale, essendo il riflesso di una Personalità spirituale (diremmo di un Archetipo) non legata al piano del divenire.

La nostra individualità temporale e transeunte, pertanto, non è altro che il riflesso nel tempo di una Possibilità che la precede: possibilità che deve passare dalla potenza all’atto. Alcune di queste possibilità si realizzeranno, mentre altre rimarranno solo “virtuali”: e questo dipende, nel concreto, sia dai condizionamenti esterni in cui il nostro essere si manifesta, sia per effetto delle scelte della nostra volontà. Al momento in cui, con la morte fisica, questa manifestazione “in divenire” si interrompe, l’insieme delle possibilità che si sono realizzate costituisce “l’aspetto” con cui l’essere umano si presenta alle soglie dell’eternità.

RESURREZIONE, OVVERO SUPERAMENTO DEL TEMPO

E’ nel cambiamento di stato tra dimensione temporale e atemporalità che si pone, dunque, ciò che chiamiamo Resurrezione. Con il passaggio dalla modalità temporale a quella non più temporale (passaggio che normalmente coincide con la morte fisica), l’individualità non ha più possibilità di mutare: fuori dal tempo, tutte le possibilità realizzate appaiono non più in una indefinita successione, ma coesistenti nell’identico Istante. Ed è lì che, al cospetto della Presenza Divina, avviene quel grande discernimento tra possibilità “positive” e “negative” che le tradizioni abraminiche chiamano Giudizio. Al cospetto della Presenza Divina, questa manifestazione totale degli esseri “eternati” nelle loro possibilità, infatti, non è identica: ed è questo il “terribile discernimento”, di cui parla il linguaggio religioso, tra salvati, dannati e chi, pur avendo conseguito la salvezza, dovrà comunque “consumare” dolorosamente certe possibilità negative in quel prolungamento postumo che la tradizione cattolica definisce Purgatorio.

Da questo punto di vista, è assolutamente pertinente la verità celebrata nella liturgia cristiano-orientale che afferma che, al momento del Giudizio, “la stessa fiamma irrora di rugiada i santi ma brucia gli empi”[1].

Solo in questa prospettiva, pertanto, assumono un significato intellegibile espressioni come quella presente nell’Apocalisse in cui si afferma, in riferimento alla condizione post-mortem degli individui, che “le loro opere li seguono”[2]; o l’espressione, apparentemente assurda e paradossale, in cui il Cristo promette che “nemmeno un capello del vostro capo perirà”[3]. L’espressione è solo in apparenza assurda (i “capelli” sono quanto di più effimero possa esserci nel nostro corpo, visto che essi cadono e ricrescono continuamente), ma è assolutamente pertinente se si comprende che ogni possibilità realizzata nella nostra esistenza –financo le possibilità attinenti alla dimensione corporea- non sono in alcun modo “cancellate”, ma permangono nella modalità a-temporale[4] determinando il destino postumo della creatura.

RESURREZIONE DEI CORPI E FINE DEI TEMPI

Da quanto è stato detto, si evince anche il perché del collegamento –presente di continuo nelle Scritture- tra l’evento della Resurrezione dei corpi e quello della Fine dei Tempi. Ciò che si è detto in merito al Giudizio Individuale, infatti, può riferirsi analogamente anche Giudizio Universale, con l’unica differenza che, in questo caso, il passaggio dal tempo al non-tempo, dal divenire all’Istante, non riguarda più il singolo individuo, ma l’insieme di “un mondo”.

Per questo alla Fine dei Tempi (ovvero al termine di quel processo di divenire che in termini profani chiamiamo “storia”) tutte le possibilità realizzatesi devono necessariamente ritrovarsi nell’atemporalità, comprese quelle particolari possibilità che costituiscono l’esistenza corporea dei singoli individui. Da ciò si evince come sia possibile che, all’atto del Giudizio Universale, le anime si riuniscano ai loro corpi, ovvero alle possibilità corporee realizzatesi durante l’esistenza e che adesso appaiono co-esistenti fuori dal tempo.

Vien da se, in ogni caso, che le possibilità psico-fisiche dell’essere umano nella condizione paradisiaca o beatifica non vanno identificate esclusivamente con quelle possedute sul piano terreno: le possibilità terrene “trasfigurate”, infatti, sono solo un aspetto delle indefinite potenzialità e delle modalità possedute dal Beato, la cui condizione è assolutamente identica a quella dell’Uomo Primordiale precedente la “caduta”, con l’unica differenza che tali esseri (ormai “salvati”) non potranno più “ritornare” o “ricadere” nel divenire mortale.

Purgatorio[1] Anthologhion, Memoria della Dormizione della Santissima Madre di Dio, Grande Vespro: “Il potentissimo angelo di Dio mostrò ai fanciulli come la fiamma irrorasse di rugiada i santi e bruciasse invece gli empi”.

[2] Apocalisse 14, 13

[3] Luca 21, 18

[4] “I diversi oggetti della manifestazione, inclusi quelli della manifestazione individuale, non vengono distrutti, ma sussistono in modalità principiale, essendo unificati proprio dal fatto che non sono più concepiti nell’aspetto secondario o contingente di distinzione (…). E’ questo che permette la trasposizione in senso metafisico della dottrina teologica della resurrezione dei morti, come anche del concetto di ‘corpo glorioso'; quest’ultimo, peraltro, non é un corpo nel senso proprio della parola ma la sua ‘trasformazione’, (…) in altre parole é la ‘realizzazione della possibilità permanente e immutabile di cui il corpo non è che un’espressione passeggera, in modalità manifestata”.
(René Guénon, “L’uomo e il suo divenire secondo il Vedānta”). Inizio modulo

 

La dottrina indù dei cicli cosmici: testi e commento

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La dottrina indù delle “quattro età dell’umanità” é la più complessa formulazione tradizionale riguardo alla visione del tempo che sia giunta fino a noi. Presentiamo qui di seguito la traduzione ed il commento dei testi originali indù -con particolare riferimento alla presente Età Oscura (Kali Yuga)- a cura dell’antropologo Mario Polia e pubblicato nel saggio: M.Polia-G.Marletta, “Apocalissi. La fine dei tempi nelle religioni”, Editrice SugarCo.

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Età del mondo e decadenza spirituale ed etica nel Bhāgavata Purāņa e nel Vişņu Purāņa

Le citazioni che seguono, permetteranno un corretto intendimento delle relazioni esistenti, nella filosofia religiosa indiana, fra degradazione spirituale ed etica e decadimento del mondo. I passi citati sono tratti dai libri sacri dei Purāņa, contenenti miti relativi alla creazione e alla fine del mondo, oltre a quelli che narrano le discese celesti (avatāra) dei vari dèi del pantheon indù e, in specie, degli avatāra di Vişņu. Per il loro contenuto, meno dottrinario e “tecnico” di quello dei Veda, e per il fascino esercitato dalle narrazioni, i Purāņa esercitarono un potente influsso, specie sulle componenti dell’India meno dedite allo studio dei testi religiosi. I testi “classici” in cui è esposta più compiutamente la tematica esposta nel titolo del paragrafo, sono il Bhāgavata Purāņa e il Vişņu Purāņa.[1]

I testi del Bhāgavata Purāņa. Passi tratti dal libro XI, capitolo V: “Descrizione dei frutti dell’empietà” (trad. E. Burnouf. Abbiamo normalizzato la grafia dei termini sanscriti):

«20. Keśava[2] è onorato durante le età Kŗta, Trēta, Dvāpara e Kali con colori, nomi, forme molteplici e in vari modi.

  1. Nel Kŗta (yuga) è bianco, ha quattro braccia; i suoi capelli sono intrecciati, è vestito di scorza e da una pelle d’antilope nera, cinge il cordone dei bramini (…) porta un bordone e una scodella». Gli attributi del dio, nell’età dell’oro indù, corrispondono a quelli dei sacerdoti e degli asceti, condizione predominante nella prima età dell’umanità.

«22. Gli uomini sono tranquilli, ignorano il rancore, affettuosi, (d’umore) inalterato, onorano Dio con la loro ascesi, la loro tranquillità (d’animo) e tenendo a freno (le loro passioni).

  1. (Dio) è celebrato coi nomi di Hamsa, Suparņa, Vàikuņtha, Dharma, il signore dello Yoga, Īśvara, Manu, Puruşa, l’Indistinto, l’Anima Suprema.
  2. Nell’età Trēta, è rosso, ha quattro braccia e tre cinture; i suoi capelli sono d’oro, egli è l’essenza del triplice (Veda), porta come insegna il grande e il piccolo mestolo per i sacrifici.
  3. Hari, il Dio formato da tutti gli dèi, è adorato dagli uomini più fedeli al proprio dovere e versati nella triplice scienza dei Veda».

«27. Nel Dvāpara (yuga) Bhagavat è di colore oscuro, è vestito di giallo, munito delle sue armi, ornato dello śrīvatsa e dagli altri attributi e insegne a lui proprie.

  1. Allora i mortali desiderosi di conoscere l’Essere supremo (…) onorano, per mezzo dei Veda e dei Tantra, il Puruşa rivestito delle sue insegne regali…».
  2. «A Nārayāna, al Ŗşi, al Puruşa, alla Grande Anima, al Signore dell’Universo, a colui che è lo (stesso) Universo e l’Anima di tutti gli esseri, rendiamo omaggio» (Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 247-248).

Durante il Kali yuga, l’adorazione viene tributata a Krishna, «colui che è nero, ma che, grazie al suo splendore, non è tenebroso» (32), soprattutto mediante la parola di lode e i canti sacri.

«35. Ecco (…) come con un nome e una forma adatta a (ciascuna) età, Bhagavat è adorato dagli uomini di ogni età, lui, Hari, il signore dei beni.

  1. Le anime elette che conoscono le virtù (dell’età Kali) e che di esse si nutrono, onorano questa età poiché in essa è sufficiente celebrare (le lodi a Krishna) per ottenere (il soddisfacimento) di ogni proprio desiderio». Durante il Kali yuga, dato lo stato di offuscamento della mente umana, chiusa alla conoscenza delle cose divine, per ottenere la salvezza dal ciclo delle rinascite sarà sufficiente celebrare le lodi a Krishna, in altre parole, sarà sufficiente seguire la Via della Devozione (bhākti), raccomandata appunto agli uomini dell’ultima età del mondo (Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 248-249).

Dal libro XII, capitolo II: “Descrizione dei mali dell’età Kali” (trad. E. Burnouf):

«1. Di giorno in giorno, per il potere del tempo, deperiranno (…) il Dovere, la Verità, la Purezza, la Pazienza, la Compassione, la Forza e la Memoria.

  1. Nell’età Kali, presso gli uomini, la ricchezza prenderà vantaggiosamente il posto della nobiltà dei natali, della virtù, del merito; diritto e norma saranno determinati dalla forza.
  2. Nel matrimonio, si cercherà unicamente il piacere; negli affari la scaltrezza; nel sesso maschile e femminile, la voluttà; nel bramino, il cordone.
  3. Solo i segni esteriori distingueranno l’appartenenza alla casta e permetteranno di passare dall’una all’altra; se si sarà poveri, il giusto diritto non avrà forza alcuna; la verbosità prenderà il posto della conoscenza.
  4. Basterà esser povero per essere cattivo; ipocrita per essere virtuoso; coabitare per essere sposi; il bagno diverrà solo una norma igienica (non un rito sacro).
  5. Uno stagno remoto sarà solo (per questo) considerato acqua santificante; la bellezza (consisterà) nell’acconciatura dei capelli; lo scopo di ognuno sarà riempirsi il ventre; l’insolenza prenderà il posto della lealtà.
  6. (…) si adempirà alla legge solo in vista d’un’effimera gloria.
  7. Sulla distesa della terra, che pullulerà di gente perversa, chi tra i Brāhmaņa, gli Kşatriya, i Vaiśya o i Śūdra sarà il più forte, quegli diverrà re.
  8. I sudditi di questi sovrani cupidi, spietati, non essendovi altra legge che il brigantaggio, vedendosi privati delle loro donne e dei loro beni, si rifugeranno tra le montagne e nelle foreste,
  9. Nutrendosi d’erbe, di radici, carne, miele, frutta, fiori e grani; per mancanza di piogge, periranno per le carestie, sfiniti dalle tasse, dal freddo, dal vento, dal calore, dagli acquazzoni, dalla neve, (si distruggeranno) gli uni con gli altri».

«12. I corpi degli esseri viventi deperiranno a causa dei crimini del Kaliyuga; gli uomini appartenenti alle caste e agli ordini non conosceranno più il cammino del dovere tracciato dai Veda.

  1. La legge degli eretici prevarrà; i re si comporteranno come briganti; gli uomini si dedicheranno a rubare, a mentire, ad inutili assassini e ad ogni sorta di pratiche (scellerate).
  2. Le caste somiglieranno tutte a quelle degli Śūdra; le vacche saranno simili a capre; le dimore degli eremiti (somiglieranno) alle case; i parenti saranno soltanto degli alleati.
  3. Le piante saranno simili ad atomi; i grandi alberi a piante di legumi (çamis); le nuvole a lampi, le case a deserti.
  4. Proprio allora, quando l’età Kali, così dura per gli uomini, sarà sul punto di finire, Bhagavat, assunta la (forma della) Bontà, scenderà sulla terra per proteggere la legge…» (Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 403-404).

Passi tratti dal libro XII, capitolo III: “Le lodi a Hari, mezzo efficace per cancellare i mali dell’età Kali” (trad. E. Burnouf):

«18. Nella (età) Kŗta, il Dovere (Dharma) cammina su quattro piedi; gli uomini di questa (età) l’onorano. I piedi di questo (toro) possente sono la Verità, la Commiserazione, l’Astinenza, la Liberalità.

  1. Gli uomini sono, in genere, contenti, pieni di compassione, di benevolenza, (coi sensi) pacificati e soggiogati; pazienti, trovano in sé stessi la loro felicità, vedono tutto coi medesimi occhi, vivendo in tal modo nello śrāmaņa.[3]
  2. Nell’età Trēta, la quarta parte dei piedi del Dharma sparisce poco a poco sotto i piedi dell’Ingiustizia, che sono la Menzogna, la Malevolenza, l’Insaziabilità e la Rapina.
  3. Nel corso di questa età, le caste, prima fra tutte quella dei Brāhmaņa, si dedicano alle opere (sacrifici, ecc.) e all’ascetismo (digiuno, ecc.); gli uomini non sono né molto malvagi né molto sensuali; essi sono attaccati al triplice oggetto (dell’attività umana) e invecchiano (nella pratica) del triplice (Veda).
  4. (I quattro piedi) del Dharma: l’Astinenza, la Verità, la Commiserazione, la Liberalità, diventano due soli durante l’età Dvāpara, sotto l’azione della Malevolenza, dell’Insaziabilità, della Menzogna, della (Rapina) frutto del rancore, segni caratteristici dell’Ingiustizia.
  5. (Durante questa età) gli uomini appartenenti alle caste, amano la gloria, le abitudini magnifiche; si compiacciono nello studio dei Veda; sono opulenti e felici padri di famiglia; Kśatriya e Brāhmaņa sono (sempre) in testa.
  6. Durante l’età Kali, la quarta (ed ultima) parte dei piedi del Dharma diminuisce per l’accrescimento dei piedi dell’Ingiustizia; alla fine, scompare (del tutto).
  7. Durante questa (età) gli uomini sono cupidi, senza regole, impietosi, gratuitamente ostili, miserabili, insaziabili; Śūdra e peccatori occupano il vertice delle gerarchie.
  8. La Bontà (sattva), la Passione (rajas), l’Oscurità (tamas): queste sono le qualità che si manifestano tra gli uomini; messe in movimento dal Tempo, esse agiscono nelle loro anime.
  9. Quando l’organo interno, l’intelligenza e i sensi partecipano soprattutto della Bontà, allora si riconosce l’età Kŗta nella quale ci si compiace della scienza e dell’austerità.
  10. Quando gli esseri si votano al dovere, all’interesse, al piacere, allora è l’età Trēta in cui domina la Passione…
  11. Quando regnano la cupidigia, l’insaziabilità, l’orgoglio, l’impostura, l’invidia, fra opere mosse dall’interesse, (allora) è l’età Dvāpara in cui (regnano) Passione e Oscurità.
  12. Quando regnano l’inganno, la menzogna, l’inerzia, il sonno, la malvagità, la costernazione, il cruccio, la confusione, la paura, la tristezza: ecco l’età detta Kali che è (esclusivamente) tenebrosa.
  13. Durante questa età, gli uomini hanno la vista corta, sono poveri di risorse, sono dediti alla gola, libidinosi, indigenti; le donne sono libertine e cattive.
  14. Le campagne sono desolate dai briganti; i Veda corrotti dagli eretici; i popoli, vessati dai loro re; i Brāhmaņa dediti alla lussuria e alla gola.
  15. I giovani Brāhmaņa non osservano più i loro voti; non praticano la purezza; i capi di casa diventano mendicanti (invece di dare essi stessi l’elemosina); gli asceti (lasciano le foreste per) abitare nei villaggi; i (penitenti) che hanno fatto voto di rinuncia assoluta, sono avidi di ricchezze.
  16. Le donne sono di piccola taglia, ingorde, eccessivamente feconde, senza pudore, ciarliere senza cessa e prive di grazia, ladre, scaltre, di grande sfrontatezza.
  17. Il commercio (durante l’età Kali) sarà nelle mani di miserabili mercanti, mentitori di professione; anche fuori dei casi di necessità, si riterrà lecita una professione disprezzata.
  18. I servi abbandoneranno i loro padroni, anche se questi fossero i migliori di tutti; i padroni (abbandoneranno) il servo invecchiato nella loro famiglia, se questi s’ammala, e anche le vacche che non danno più latte.
  19. Abbandonando padri, fratelli, amici e parenti, dediti alla lussuria ed agli (illeciti) affetti, miserabili e debosciati, quelli (che vivranno) nell’età Kali avranno relazioni criminali tra cugini e cugine.
  20. Gli Śūdra, travestiti da asceti, vivranno del loro travestimento, godendo delle offerte; uomini che conoscono soltanto l’ingiustizia, si faranno interpreti della giustizia e occuperanno i posti più alti.
  21. Con l’anima in continuo subbuglio; tormentati dalla carestia e il fisco; spaventati per la continua siccità (gli uomini) s’ammaleranno, in un paese in cui non ci saranno più raccolti di riso…
  22. Senza vesti, senza nutrimento né acqua, senza un giaciglio, estranei al piacere, ai bagni, al lusso, la gente dell’età Kali sarà simile ai piśāca.[4]
  23. Durante l’età Kali, per una piccola moneta (kakiņika), si litigherà con i propri amici e si rinuncerà alla loro amicizia; si sacrificherà la stessa esistenza, per quanto cara, e ci si ucciderà tra parenti.
  24. Non si proteggeranno più i vecchi genitori, né i propri figli, qualunque sia la loro abilità nei diversi generi d’applicazione; nella loro abiezione, gli uomini saranno dediti alla lussuria e all’intemperanza.
  25. Nell’età Kali (…) il supremo Maestro dei mondi, colui che vede i protettori dei tre mondi prosternati dinanzi al loto dei suoi piedi, il beato Aśyuta, sarà quasi sempre privato dell’omaggio della maggior parte degli uomini, la cui intelligenza sarà corrotta dall’eresia.
  26. Egli, il cui nome pronunciato (anche) incoscientemente sul punto della morte, durante le malattie, le cadute, gli urti, libera l’uomo dal legame delle azioni compiute, permettendogli la felicità eterna, non sarà più adorato da nessuno, durante l’età Kali.
  27. Le mancanze commesse dagli uomini durante l’età Kali, riguardanti cose, luoghi o le loro persone, sono cancellate da Bhagavat, il supremo Puruşa, quand’egli prende dimora nei loro cuori.
  28. Basterà ascoltare o celebrare le sue lodi, pensare a lui, offrirgli dei segni d’omaggio o di rispetto, perché il Beato prenda dimora nel loro cuore e cancelli le impurità contratte dagli uomini durante diecimila esistenze».

«51. L’età Kali (…) (nonostante sia) un abisso di vizi, possiede un vantaggio unico, (ma) prezioso: è sufficiente celebrare le lodi di Krishna perché, liberi da ogni legame, ci si riunisca all’Essere supremo.

  1. Ciò che si ottiene durante l’età Kŗta, meditando su Vişņu, nell’età Trēta, offrendo(gli) doni e sacrifici ; nell’età Dvāpara, (votandosi) al suo culto; nell’età Kali, lo si ottiene celebrando le lodi di Hari» (Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 409-413).

Gli uomini dediti principalmente al soddisfacimento dei piaceri, schiavi dei loro desideri, sono descritti come esseri demoniaci (āsura). Tale è il tipo d’uomo prevalente durante l’ultima età: «Dediti a una cura affannosa e smisurata che termina solo con la morte, affermano che il bene supremo consiste nel soddisfacimento dei desideri e sono convinti che questo mondo sia l’unica realtà»; «Avvinti dai mille vincoli del desiderio (kāma), dediti al piacere e all’ira, cercano di ottenere fortuna in modo non conforme alla norma, pur di soddisfare i loro desideri» (Bhagavad Gītā 16, 11-12).

Kalki, ultimo avatāra di Vişņu. Nella tradizione indù, avatāra significa “discesa” della divinità in un corpo umano per una sua modalità di manifestazione nel tempo e nello spazio. Comunemente, “avatāra” è tradotto “incarnazione”: «Si tratta dell’incarnazione del dio nel tempo allo scopo di restaurare l’ordine del cosmo e rivelare la sua natura in modo accessibile all’uomo» (Acharuparambil 1955, 163). Krishna spiega così i propri avatāra: «Quando si produce il declino del dharma e l’affermarsi dell’adharma, allora io manifesto me stesso (come avatāra). Per la protezione dei giusti, per la distruzione dei malvagi, e per dare stabile fondamento al dharma io entro nell’esistenza di età in età» (Bhaghavad Gītā 4, 7-8).

A chiudere il ciclo del Kali-yuga, sarà l’incarnazione di Vişņu come Kalki-avatāra vendicatore del Dharma. Kalki si manifesterà come un guerriero montato su un bianco destriero e stringerà in pugno una spada di fuoco, con la quale punirà tutti coloro che, essendosi opposti a verità e giustizia e avendo collaborato con le forze del male, colpevoli della degradazione dell’uomo e della corruzione del mondo, si sono resi meritevoli della vendetta divina. La venuta di Kalki inaugurerà la nuova età dell’oro della quale Vişņu, dio del cinghiale bianco, sarà signore e sovrano. Citiamo dal Bhāgavata Purāņa, libro XII, cap. II:

«18. Kalki [Vişņu] apparirà nella casa di un bramino magnanimo (chiamato) Vişņuyaças, capo del villaggio Chambala.

  1. Montando il cavallo Dēvadatta, velocissimo, nemico dei malvagi; dotato delle otto facoltà sovrannaturali e delle qualità,
  2. Percorrerà la terra con la massima rapidità del suo destriero, emettendo uno splendore senza pari e, con la sua spada, ucciderà a milioni di milioni i ladri celati sotto le insegne della sovranità.
  3. Essendo stati messi a morte tutti i briganti, gli abitanti delle città e dei villaggi sentiranno il loro cuore riempirsi di gioia al soffio odoroso della brezza, purificata al massimo grado dalle membra di zafferano di Vāsudēva.
  4. Da loro, nascerà una progenie vigorosa, grazie alla presenza tra di loro del beato Vāsudēva la cui forma è la Bontà». La venuta di Kalki inaugura la nuova età beata:
  5. Quando s’incarnerà il Beato Kalki, il maestro della legge, Hari, sarà l’età Kŗta; gli esseri nasceranno allora essenzialmente buoni.
  6. Quando la Luna, il Sole, Tichya e Brihaspati saranno allineati nel segno di una sola costellazione, verrà l’età Kŗta.[5]
  7. Alla fine della quarta (età, il Kaliyuga), che durerà mille anni divini (senza contare i due crepuscoli di cento anni ciascuno), tornerà (l’età) Kŗta. Allora l’organo interno dell’uomo si schiarirà da solo» (Bhāgavata Purāņa 12, 2; pp. 404-405).

Decadenza umana, fine e rinnovamento del mondo nel Vişņu Purāņa: un altro dei testi contenuti nella raccolta dei Purāņa, il Vişņu Purāņa, raccoglie le predizioni concernenti la conclusione del ciclo e l’inizio del seguente. Il contenuto è simile a quello del Bhāgavata Purāņa, per cui, un riassunto sarà sufficiente: fuoricasta, servi e barbari desoleranno il sacro suolo dell’India; sovrani violenti spoglieranno i loro sudditi; il dharma decadrà ovunque; possesso materiale, salute e ricerca del piacere saranno i moventi dell’umanità nell’ultimo scorcio del ciclo; il rispetto verso i sacerdoti e i maestri spirituali decadrà e ad esso si sostituirà il disprezzo per le norme religiose e per la tradizione; il matrimonio cesserà d’essere un rito e tra i sessi prevarrà la legge del piacere; le donne non rispetteranno più i loro genitori e i mariti, saranno dissolute e si concederanno a dissoluti; l’empietà prevarrà ovunque. Ma, proprio quando ogni norma ed ogni rito staranno per essere abbandonati, Brahmaņ invierà sulla terra un principe di natura divina, il quale ristabilirà la giustizia tra gli uomini. Le loro menti, perdendo l’offuscamento che le ottenebrava, saranno destate a una rinnovata percezione del divino. Da quest’ultima umanità nasceranno coloro che daranno inizio ad una nuova età beata: un nuovo kŗta-yuga (cfr. Vişņu Purāņa 4, 24; 6, 1).

La montagna polare e il Centro di Agartha. La tradizione indiana fa riferimento a un Centro supremo, posto sulla cima della Montagna Polare, o monte Mēru, corrispondente all’asse del mondo. “Centro” e “asse”, ovviamente, vanno intesi in senso spirituale e non geografico. “Agartha” esprime la presenza del lógos universale che presiede e dirige lo svolgimento d’ognuna delle ère dell’umanità. In Agartha risiedono tre personaggi, dotati ognuno di una specifica funzione: Brāhātma, Māhātma e Mahāńga. Il primo è il capo supremo di Agartha, la sua funzione è la conservazione della sapienza e della tradizione primordiale. Il Māhātma svolge una funzione essenzialmente sacerdotale, o “pontificale” mentre la funzione del Mahāńga è nettamente regale, o “imperiale”. Ognuna delle tre funzioni si esplicita e sussegue durante lo svolgimento del ciclo, sicché nella prima èra dell’umanità, caratterizzata dall’assenza delle caste, dalla giustizia, dalla sapienza e dalla pietas, il mondo è retto dal Brāhātma. Durante il secondo yuga – analogo all’“età dell’argento” – caratterizzato dal predominio della casta sacerdotale, il mondo è retto dal Māhātma, che svolge la funzione di sacerdote supremo. In seguito, quando le altre caste assumono il predominio, a iniziare dalla casta dei guerrieri, al Māhātma succede il Mahāńga esercitando la sua funzione regale di imperator mundi. Ovviamente, la “successione” non implica la scomparsa della precedente funzione, ma il suo passaggio dalla sfera visibile a quella invisibile, dalla storia alla metastoria, dal mondo all’Agartha.

Lokalōka: la grande montagna e il crollo delle barriere che proteggono il mondo. Nella cosmografia indù, Lokalōka è la grande barriera montuosa, eretta a forma di circolo, che separa e difende il cosmo (loka) dal mondo del caos (alōka) e dalle oscure forze dei demoni, perennemente in agguato. Si tratta di una sorta di barriera analogica che, presso tradizioni diverse da quella indiana, prende il nome di “Grande Muraglia”. In modo analogo, nella tradizione germanica, la Terra di Mezzo (Miđgarđr) è separata e difesa dal Mondo dei Giganti da una barriera protettiva, formata da altissimi monti che, però, le forze del caos simboleggiate dai giganti valicheranno, alla fine dei tempi, per distruggere il mondo.

Per quanto riguarda il simbolismo espresso dalla barriera, René Guénon ha giustamente notato che la Grande Muraglia, o la barriera montuosa di Lokalōka, pur esercitando protezione nei confronti delle potenze esterne ostili al mondo ed all’ordine in esso vigente, non preclude affatto la comunicazione verso l’alto (Guénon 1969: 209). In altre parole, non impedisce alle forze celesti di esercitare le loro influenze, sempre che esista la giusta disposizione a che ciò avvenga.

La diciottesima Sūra del Corano fa riferimento alle genti di Gog e Magog – orde distruttive composte da esseri non-umani,rappresentati a volte come giganti, altre come nani – figurazioni delle potenze del caos. Tali orde, passando attraverso le fenditure prodottesi nella Grande Muraglia, costruita secondo la leggenda da Alessandro Magno, chiuderanno il presente ciclo cosmico, desolando la terra. La tradizione indù, dal canto suo, menziona i due dèmoni Koka e Vikoka i cui nomi sono palesemente identici a quelli di Gog e Magog.[1]

Evidentemente, sia la “Grande Muraglia” che la mitica barriera montuosa, vanno intesi in senso simbolico, in riferimento alla funzione protettrice dell’ordine cosmico assicurata dal corretto adempimento dei riti e dall’osservanza delle leggi. Il rito, infatti, assicura le giuste relazioni col mondo divino, mentre la legge, garantendo l’esistenza dell’ordine, stabilisce la giusta convivenza tra gli uomini. “Lokāloka” deriva da loka che esprime il concetto di “cosmo”, inteso come spazio-tempo ordinato dal rito e dalla legge e dalla negazione di loka (a-loka) che si riferisce all’assenza di norme religiose ed etiche e al disordine prodotto da tale assenza. In tal senso, rifacendoci alle considerazioni di cui sopra (v.), il presupposto perché possa parlarsi di “loka” è costituito dalla presenza attiva di ŗta e dharma, l’ordine fondato sulla norma divina e l’osservanza dei doveri morali e religiosi, senza i quali il cosmo precipita nello stato di non-cosmo, o a-loka.

Per concludere, esponiamo il diagramma che illustra le relazioni tra i cicli e le caste, includendo due momenti del ciclo – uno all’inizio ed uno alla sua conclusione – in cui virgola si ha uno stato indifferenziato, caratterizzato dalla mancanza di caste. Per quanto riguarda questi due momenti, occorre, però, notare che l’indifferenziazione iniziale dello hamsa è tutt’altra cosa della confusione caratterizzante gli ultimi tempi. In entrambi i casi, la non-differenziazione rimanda al simbolismo del caos, sennonché lo hamsa esprime le potenzialità positive del caos, dal quale il demiurgo porterà ad essere la nuova creazione; l’indifferenziazione finale, al contrario, esprime e realizza le valenze negative, le componenti distruttive del caos destinate a far spazio alla realizzazione di un nuovo ordine che avverrà, parafrasando l’immagine paolina, sotto “nuovi cieli” e riguarderà una “nuova terra”. Ecco, dunque, il quadro delle relazioni fra yuga e caste:

kŗta-y.             hamsa, stato indifferenziato, assenza di caste

trēta-y.            predominio della casta sacerdotale, poi dei guerrieri

dvāpara-y.      predominio dei guerrieri, poi dei vaiśya

            kali-y.              predominio dei vaiśya, poi degli śūdra e, per ultimo dei pañcama, o fuori-casta: stato indifferenziato equivalente a un ritorno al caos

É anche possibile mettere in relazione i quattro yuga con le quattro stagioni dell’anno, intendendo “stagione” in senso metaforico. Si otterranno allora le seguenti corrispondenze: kŗt-y.–primavera; trēta-y.–estate; dvāpara-y.–autunno; kali-y.–inverno.

Copertina - apocalissi[1] Un’antica leggenda, diffusa lungo l’intero corso del Medioevo narra che Alessandro Magno avrebbe fatto costruire delle grandi porte di ferro per sbarrare i valichi montani e impedire alle orde delle steppe d’invadere l’Europa. All’avvicinarsi delle orde, prosegue la leggenda, misteriosi squilli di tromba avrebbero rivelato agli invasori la presenza di insonni, soprannaturali sentinelle. Un giorno il suono delle trombe cessò. Un nano, della stirpe dei Mongoli, raggiunto il valico, s’accorse che le porte erano incustodite. A produrre il suono era il vento che passava tra le rocce, ma le fenditure erano state otturate da nidi di gufi. La leggenda si rivelò tragicamente vera in occasione delle invasioni degli Unni. Nella tradizione cinese, ai tempi dell’Imperatore Giallo, Fo-hsi, un gigante produsse uno squarcio nella parte della volta celeste più prossima alla terra, sicché la sorella di Fo-hsi, Niu-kwa, dovette riparare lo strappo ricorrendo a pietre di cinque colori (allegoria dei cinque elementi). Lo “strappo” della tradizione cinese equivale alle “fenditure” della Grande Muraglia nella tradizione islamica

[1] In quanto ad etimo, purāņa significa “antico”

[2] Keśava: uno dei nomi divini di Vişņu-Kŗşņa

[3] śramaņa: lo stato religioso di monaco, o rinunciante

[4] Il termine piśāca si applicava, in genere, ai malvagi e impuri divoratori di carne bovina, ma qui ha un senso più generico; lo stesso termine designava una classe di dèmoni

[5] Anche nella tradizione indù la fine di un ciclo e l’inizio del nuovo coincidono con l’allineamento dei pianeti in uno dei segni dello Zodiaco (v. anche Platone nel Timeo)

Tempi Ultimi ed eccesso della Misericordia

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Grafica1I Tempi Ultimi e l’eccesso della Misericordia.

Un viaggio tra “impossibili” Promesse del Cielo e “assurde” devozioni: dalla promessa del Sacro Cuore fino al culto della Divina Misericordia (passando per Rue Le Bac e Fatima).

di Gianluca Marletta

Medagliette della Madonna a detta di molti “miracolose” e a cui vengono attribuite guarigioni e conversioni che hanno fatto la storia; promesse di Salvezza che “valgon bene” Nove o Cinque messe i primi venerdì o sabati del mese (a seconda della versione); Coroncine misericordiose da recitare al capezzale foss’anche del più putrido peccatore con la sicura speranza di un’assistenza divina! E’ questo il mondo delle “impossibili promesse” e delle “assurde” devozioni che pure affollano la storia e l’immaginario del Cattolicesimo profondo degli ultimi secoli: devozioni, pratiche e speranze che suscitano scetticismo o ironia presso i credenti “adulti”, disinteresse o peggio presso tutti coloro che ritengono, a torto o a ragione, di possedere un intelletto “profondo” e “illuminato”, ma che pure risalgono a “rivelazioni” di grandi santi, spesso certificate e promosse da Pontefici e “corroborate” –se così si può dire- da eventi straordinari e da effusioni di Grazia clamorose.

Sia ben chiaro, di fronte a realtà del genere lo scetticismo e il dubbio rimangono reazioni sane e normali. Si prenda, ad esempio, la cosiddetta Grande Promessa del Sacro Cuore di Gesù, che sarebbe stata comunicata dal Signore in persona a Santa Margherita Maria Alacoque: cosa ci può essere di più assurdo, e per certi versi irritante, di una “rivelazione” in cui si assicurerebbe la grazia del pentimento finale, e dunque della Salvezza, a chiunque abbia ricevuto la Comunione i Primi Venerdì del mese per nove mesi consecutivi, persino (persino!) a chi successivamente tornasse ad una vita di peccato?

Qui, evidentemente, lo scetticismo non è solo quello che potrebbe cogliere un “figlio spirituale” di Scalfari o Umberto Eco, ma anche quello di chiunque sia abituato a porsi domande; anche di una persona come il sottoscritto, che pur venendo da una cultura tutt’altro che razionalista eppure fortemente “intellettuale” perchè nutrita fin da giovane da letture “esoteriche” e da riflessioni “metafisiche”, non può non nutrire una certa, innata (spocchiosa?) diffidenza verso tutte le manifestazioni della cosiddetta religiosità “popolare”.

Non può infatti non sconcertare e destabilizzare l’idea che il dono della Salvezza possa essere “svenduto” a così poco prezzo, in una prospettiva che pare “inflazionare e svilire la Misericordia”, per giunta legandola all’adempimento di un atto formale che –in prospettiva umana- potrebbe persino apparire “banale”. Ma sconcerta anche, specie all’occhio di uno storico, che tali “pie pratiche” non siano apparse nella storia del Cristianesimo per più di 1700 anni e che si concentrino, al contrario, tutte o quasi nel ristretto spazio di tempo degli ultimi secoli: la tentazione, dunque, di derubricarle alla stregua di ingenue creazioni di un certo clima sentimentalistico-devozionale tipicamente moderno può essere forte.

E se, al contrario, ci trovassimo al cospetto di …inequivocabili “segni dei tempi”?

Malgrado le nostre perplessità, la questione delle “promesse impossibili” e delle “assurde devozioni” sembra tuttavia conservare un suo mistero, a dispetto della loro apparente irragionevolezza: troppe testimonianze, troppe grazie sembrano essere legate a queste pratiche per poter derubricare il tutto al livello di banali superstizioni. Qualcosa di misterioso, di irriducibile e di ineffabile, sembra celarsi dietro tali realtà; secondo una Sapienza che, probabilmente, non è di questo mondo, una Sapienza che però, insegnava il Maestro, non sempre è data a chi “sapiente” ritiene o pretende di esserlo.

E’ se fosse invece un clamoroso “segno dei tempi” questa apparente insensatezza della Misericordia divina? Uno di quei segni veri, biblicamente manifestatosi “con mano potente e braccio teso”, del tutto diversi da quelli che tali vengono ritenuti dai teologi a la page, per i quali “leggere i segni dei tempi” è spesso traducibile come adeguarsi all’ultima (o penultima) moda del mondo?

E se fosse questa l’estrema (ultima?) risposta della Provvidenza di Dio ad un tempo (quello sì) insensato e assurdo, dove le tracce di Dio vengono alacremente cancellate da un’umanità mai come oggi così lontana da Cristo? Potrebbe, dunque, essere anche questa la “mano tesa” del Cristo offerta agli Apostoli giunti alla fine del viaggio e terrorizzati dal mare in tempesta di un tempo “dannato” in cui il dono della Salvezza sembrerebbe realmente precluso alla maggior parte dell’umanità?

Stiamo esagerando? Siamo vittime di deliri apocalittici o della sindrome dei “profeti di sventura” così duramente biasimata anche da neo-canonizzati Pontefici? Difficile rispondere. Questo piccolo escursus storico sulle “devozioni impossibili” degli ultimi tre secoli, tuttavia, potrà forse regalarci se non certezze, certamente affascinanti segni e salutari domande da porsi.

san-simone-stockUn “precedente” illustre: lo Scapolare del Carmelo.

In realtà, certe “incredibili promesse” da parte del Cielo avrebbero almeno un precedente pre-moderno quanto mai illustre: parliamo della Promessa che la Vergine Maria avrebbe assicurato a coloro che avrebbero vestito con devozione lo Scapolare Carmelitano (detto anche Abitino e, spesso, sostituito dall’equivalente medaglietta specie presso i devoti laici). Tale Promessa sarebbe stata comunicata rivelata a San Simone Stock, priore dell’Ordine del Carmelo, durante un’apparizione avvenuta il 16 Luglio 1251; queste le parole che l’avrebbero accompagnata:

«Prendi figlio dilettissimo, prendi questo scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita, privilegio a te e a tutti i Carmelitani. Chi morrà rivestito di questo abito non soffrirà il fuoco eterno; questo è un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza di pace e di patto sempiterno».

Tale promessa, inoltre, sarebbe stata confermata e addirittura ampliata a seguito di una successiva apparizione mariana a cui avrebbe assistito Papa Giovanni XXII, durante la quale la Vergine avrebbe rivelato il cosiddetto “privilegio sabatino”, ovvero la promessa di essere liberati dal Purgatorio il sabato successivo alla propria morte, a quei fedeli che avrebbero unito alla devozione dello Scapolare una pratica costante fatta di particolari preghiere e pratiche spirituali[1].

Tuttavia, e malgrado tale illustrissimo precedente (che chiama in causa uno dei “centri” della spiritualità cattolica, quale l’Ordine del Carmelo), è evidente che l’esplosione di tali “promesse” è tutta collocabile in età moderna, specie (sarà un caso?) a ridosso di quelle “rivoluzioni anticristiane” che avrebbero via via de-popolato la Chiesa e secolarizzato la società.

oratorio-di-rue-le-bacSanta Margherita Maria Alacoque: la Grande Promessa del Sacro Cuore e “l’eccesso della Misericordia”.

Santa Margherita Maria Alacoque, consacrata e mistica francese della fine del XVII secolo, protagonista della diffusione di quel culto del Sacro Cuore di Gesù che così grande importanza ha avuto nella spiritualità e nella devozione cattoliche dei secoli successivi, è anche la protagonista della più conosciuta fra le “assurde promesse” di cui parliamo in questo articolo. Era l’anno 1674, quando la suora del monastero della Visitazione, già nota per presunte manifestazioni e apparizioni del Cristo, avrebbe ricevuto questo incredibile messaggio:

“Io ti prometto, nell’eccesso della Misericordia del mio Cuore, che il mio Amore Onnipotente concederà a tutti quelli che si comunicheranno al primo Venerdì del mese per nove mesi consecutivi, la grazia della perseveranza finale. Essi non moriranno in disgrazia, né senza ricevere i Sacramenti, servendo loro il mio Cuore di asilo sicuro in quell’ora estrema”.

Stiamo parlando della celeberrima Promessa dei Primi Nove Venerdì del Mese, oggi caduta nel dimenticatoio insieme a molte altre e vista con imbarazzo soprattutto da parte del clero, ma alla quale fu attribuita così grande importanza al punto che Papa Benedetto XV volle inserirla –cosa piuttosto inusitata- nella stessa Bolla di Canonizzazione della santa!

Innumerevoli, peraltro, sarebbero le testimonianze di grazie e conversioni clamorose (spesso in articulo mortis) attribuite a tale pratica. Fra tutte, la più clamorosa è forse quella del tranviere romano Bruno Cornacchiola, uomo di costumi piuttosto libertini ma, al contempo, protestante fanatico e feroce nemico del Cattolicesimo, dei preti e soprattutto del culto mariano –aveva persino organizzato un tentativo di uccisione del Papa durante la visita del Pontefice nel quartiere di Testaccio- che nell’anno 1947 sarebbe stato protagonista dell’apparizione della Vergine Maria nella zone delle Tre Fontane, a Roma. A seguito di tale apparizione, il tranviere romano anticlericale si ritroverà ipso facto convertito al Cattolicesimo e latore di un messaggio di profondo contenuto teologico -su cui, c’è da dire, la Chiesa non si è ancora pronunciata definitivamente- ma nel contesto del quale, la Vergine avrebbe tra l’altro rivelato:

“Io sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti. Adesso basta! Entra nel santo ovile. Quello che Dio ha promesso è e resta immutabile: i Nove Venerdì del Santo cuore, che tu hai celebrato, spinto dall’amore della tua fedele sposa prima che tu prendessi definitivamente la via dell’errore, ti hanno salvato”.

medaglia-miracolosaRue de Bac e la “medaglia miracolosa”.

Santa Margherita Maria Alacoque muore nell’anno 1690, proprio a ridosso di quel XVIII secolo, età dei “lumi” secondo la mitologia laica e illuminista, che a partire dalla sua Francia segnerà le tappe di una progressiva scristianizzazione dell’Occidente e del mondo; ed è difficile, col senno del poi, non vedere in questo una sorta di “segno”.

Ma più evidente ancora, se vogliamo, è la “provvidenzialità storica” insita in un altro evento miracoloso che nell’anno 1830 avrà come scenario ancora la Francia e Parigi in particolare, città che aveva visto solo qualche decennio prima l’infuriare della Rivoluzione del 1789 e che, proprio in quell’anno, vedrà l’esplodere i famosi Moti del 1830, primi di una serie di “rivolte” laiciste e borghesi che, culminate nel 1848, getteranno le basi di tutti i movimenti nazionalisti, socialisti e anticristiani che sconvolgeranno il mondo nel secolo successivo. Tutto ebbe inizio nella notte fra il 18 e il 19 Luglio di quell’anno, con una serie di apparizioni prima di un essere bellissimo dalle forme bambine che si qualifica come un angelo, poi della Vergine Maria in persona, ad una suora del convento di Rue Le Bac a Parigi di nome Caterina Labouré (futura Santa Caterina Labouré). Fra le varie rivelazioni, la Vergine trasmette a quest’anima eletta l’immagine di un medaglia di forma ovale dove una serie di profondi simboli mariani contornano un’immagine della Vergine dalle cui mani si proiettano raggi di luce verso la Terra: sono il simbolo stesso, dirà l’Apparizione, della grazie che la Madre di Dio vuole riversare su coloro che gliele chiederanno. La Vergine stessa ordina di fabbricarne quante più possibili e promette grazie a tutti coloro che la porteranno:

Fate coniare una medaglia su questo modello. Tutte le persone che la porteranno riceveranno grandi grazie, specialmente portandola al collo; le grazie saranno abbondanti per le persone che la porteranno con fiducia”

Tale intervento clamoroso della Grazia viene “giustificato” esplicitamente con l’avvento prossimo di periodi di caos e di sofferenza per la Francia e per il mondo intero:

I tempi sono cattivi. Gravi sciagure stanno per abbattersi sulla Francia. Il trono sarà rovesciato. Tutto il mondo sarà sconvolto da disgrazie d’ogni specie”. 

Nei due anni successivi, la medaglia fu coniata in migliaia di copie, milioni nei decenni successivi; e tale devozione fu subito presa molto sul serio da una Gerarchia ecclesiastica che, all’epoca, non sembrava affatto disdegnare i “profeti di sventura”, specie se si chiamano Maria Vergine, e che sembrava ben cosciente della “drammaticità dell’ora presente”. Oltretutto, da ogni parte del mondo sembrano via via giungere testimonianze sempre più incalzanti di come tale “piccolo segno” stesse veicolando una cascata di grazie, guarigioni e conversioni clamorose, al punto che di lì a poco tutti cominciarono a chiamare il simbolo di Rue Le Bac Medaglia Miracolosa.

…e l’ebreo agnostico si convertì all’istante!

Storia della “vittima” più illustre della Medaglia Miracolosa.

Tra le innumerevoli testimonianze legate alla Medaglia Miracolosa, la più celebre è certamente quella della conversione dell’ebreo francese Alphonse Ratisbonne. Ricco rampollo di una famiglia israelitica d’Oltralpe, viaggiatore sfaccendato, fidanzato con una piacente fanciulla di nome Flora e in attesa di sposarsi, agnostico con un piede nell’ateismo, il Ratisbonne viene ospitato a Roma dal suo amico barone Theodore De Bussierès, fervente cattolico e devoto mariano, che lo sfida letteralmente ad una sorta di sacra “singolar tenzone”, offrendogli la Medaglia di Rue Le Bac e chiedendogli semplicemente di portarla al collo, cosa che il Ratisbonne farà “portandola come un ninnolino”. Questo fino a quando, la mattina del 20 Gennaio di quell’anno durante una visita alla chiesa di Sant’Andrea delle Fratte dietro Piazza di Spagna, Alphonse non viene letteralmente investito dalla Grazia, che gli si presenta sotto forma di un’apparizione della Vergine che trasmuterà all’istante la sua esistenza:

La Chiesa di S. Andrea delle Fratte -così egli stesso racconterà in seguito- era piccola, povera e quasi sempre deserta. Quel giorno ero solo o quasi solo. (…). Ricordo soltanto che un cane nero scodinzolava dinanzi a me… Ben presto anche quel cane disparve. La Chiesa intera disparve; io non vidi più nulla… O meglio, mio Dio, io vidi una sola cosa! Come potrei parlarne? La parola umana non può facilmente esprimere ciò che è inesprimibile. Quando arrivò il barone De Bussières mi trovò col volto rigato di pianto. Non potei rispondere alle sue domande… tenevo in mano la medaglia che avevo appesa al collo e coprivo di baci l’immagine della Vergine…Era Lei, sicuramente Lei!

Non sapevo dove ero, non sapevo se ero Alfonso o un altro; provavo in me un tale cambiamento che mi pareva essere un altro; cercavo di ritrovare me stesso e non mi ritrovavo… Non riuscivo a parlare; non volevo dire niente; sentivo in me qualche cosa di solenne e di sacro che mi costringeva a cercare un sacerdote”.

Più tardi, calmatasi la vivissima emozione provata, così spiegò all’amico “Ero da pochi istanti nella chiesa di S. Andrea, quando, improvvisamente, mi sentii afferrato da un turbamento inesprimibile. Alzai gli occhi; l’edificio intero era come scomparso ai miei sguardi; una sola cappella aveva concentrato tutta la luce. In un grande fascio di luce, mi è apparsa, dritta, sull’altare, alta, brillante, piena di maestà e di dolcezza, la Vergine Maria, quale si vede sulla Medaglia Miracolosa; una forza irresistibile mi ha spinto verso di Lei. La Vergine mi ha fatto segno con la mano di inginocchiarmi. Mi è parso che dicesse: ‘Bene!’ Non mi ha parlato, ma io ho compreso tutto “.

Il risultato finale é che l’ex-agnostico si fa battezzare il 31 Gennaio dello stesso anno, abbandona carriera, soldi e promesse di nozze per divenire sacerdote cattolico nell’anno 1848 e termina la sua esistenza terrena in Terra Santa, ad Ain Karem, il luogo della Visitazione della Vergine Maria ad Elisabetta, nel 1884.

Fatima 1917: la devozione al Cuore Immacolato di Maria e la promessa dei primi Cinque Sabati.

Meno di un secolo dopo, un altro evento straordinario (nel senso letterale di non-ordinario) scuote il mondo cattolico. Il tempo, tuttavia, è trascorso e l’albero anticristico della modernità sta già mostrando alcuni dei suoi frutti… Siamo nel 1917, è il sogno della Belle Epoque di costruire un paradiso terrestre piccolo-borghese al ritmo del can-can sta già imputridendo da anni nelle trincee della Grande Guerra insieme ai cadaveri di 9 milioni di soldati: e questo sarà solo l’inizio di quella mattanza senza fine di corpi (e ancor più di anime) che chiamiamo Ventesimo Secolo.

Dell’evento di Fatima, probabilmente, non si smetterà di parlare fino alla fine dei tempi; eppure, normalmente, fra i tanti temi più o meno interessanti ad esso collegati –terzi o quarti segreti più o meno rivelati al pubblico, vere o presunte omissioni, vere o presunte profezie apocalittiche, miracoli del sole a cui assistettero 70.000 persone (tra cui giornalisti di quotidiani atei e gendarmi dell’allora governo anticlericale portoghese), e persino dibattiti e polemiche fra Cristiani e Musulmani sul perché la Vergine abbia scelto di apparire in una località che …porta il nome della venerata figlia del profeta Muhammad- l’elemento forse più importante dell’Apparizione sembra di solito rimanere ai margini. Stiamo parlando della terribile visione dell’Inferno “dove ardono le anime dei poveri peccatori” mostrata ai “pastorelli” nel contesto del Primo Segreto, ma anche, della meravigliosa promessa di salvezza ad essa correlata. Con queste parole la descrive la veggente Lucia Dos Santos, all’epoca ormai suora consacrata:

“Il 10 dicembre 1925 mi apparve in camera la Vergine Santissima e al suo fianco un Bambino, come sospeso su una nube. La Madonna gli teneva la mano sulle spalle e, contemporaneamente, nell’altra mano reggeva un Cuore circondato di spine. In quel momento il Bambino disse: “Abbi compassione del Cuore della Tua Madre Santissima avvolto nelle spine che gli uomini ingrati gli configgono continuamente, mentre non v’è chi faccia atti di riparazione per strapparglieLe”. E subito la Vergine Santissima aggiunse: “Guarda, figlia mia, il mio Cuore circondato di spine che gli uomini ingrati infliggono continuamente con bestemmie e ingratitudini. Consolami almeno tu e fa sapere questo: A tutti coloro che per cinque mesi, al primo sabato, si confesseranno, riceveranno la santa Comunione, reciteranno il Rosario e mi faranno compagnia per quindici minuti meditando i Misteri, con l’intenzione di offrirmi riparazioni, prometto di assisterli nell’ora della morte con tutte le grazie necessarie alla salvezza”.

La devozione dei Primi Cinque Sabati del mese con la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria sembra quasi, se così si può dire, una “riedizione” in forma più semplice della Grande Promessa di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque; un modo ancor più immediato e diretto di offrire una “scialuppa di salvataggio” ad un’umanità ormai naufragata nel caos e nella dissoluzione.

Cinque sabati in cinque mesi per …salvare la propria anima dalla morte! Ancora una volta, il tutto sembra esagerato, assurdo, forse persino “ingiusto” se visto nell’ottica di una giustizia umana. Eppure non basta! Negli stessi anni, dall’altra parte dell’Europa, il Cielo sembrerebbe aver parlato ancora: questa volta,  avvertendo esplicitamente l’umanità dell’imminente fine dei tempi e della necessità di scegliere una volta per tutte la Misericordia per poter scampare dalla Divina Giustizia.

Santa Faustina Kovalska e le Promesse della Divina Misericordia.

Su Santa Faustina Kovalska, suora polacca della Congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia, si potrebbero scrivere enciclopedie intere: mistica straordinaria, persona che viveva in un clima di soprannaturalità che solo pochi grandi santi hanno sperimentato con altrettanta costanza, autrice di un Diario che contiene alcune delle più belle pagine di spiritualità della storia più recente della Chiesa (a cui molto attingerà il connazionale Giovanni Paolo II, che la canonizzerà nel 2000). L’aspetto a cui, nell’immaginario collettiva, è legato maggiormente il suo ricordo è, tuttavia, quello del Culto della Divina Misericordia, che gli sarebbe stato rivelato direttamente dal Cristo nel corso di numerose apparizioni e locuzioni interiori. Il messaggio della Divina Misericordia appare sconvolgente per quanto semplice e diretto: l’umanità si sta avvicinando a grandi passi verso i Tempi Ultimi (anzi, ultimissimi) e il Giudizio incombe su tutti; per questo motivo, il Cristo richiede l’istituzione di un culto ufficiale alla Sua Divina Misericordia, presentata senza mezzi termini come l’ultima ancora di salvezza donata all’umanità finale:

“Parla al mondo della Mia Misericordia…Questo è un segno per gli ultimi tempi, dopo i quali arriverà il Giorno della Giustizia. Fintanto che c’è tempo ricorrano alla sorgente della Mia Misericordia…

“Prolungo loro [ai peccatori] il tempo della Misericordia, ma guai a loro, se non riconosceranno il tempo della Mia venuta.

Prima del giorno della giustizia mando il giorno della Misericordia.

Chi non vuole passare attraverso la porta della misericordia, deve passare attraverso la porta della Mia giustizia.

Siamo nel 1938, lo stesso anno in cui, all’età di 33 anni, Suor Faustina concluderà il suo breve ma straordinario passaggio in questo mondo. Qualche anno prima, nel 1931, Suor Faustina avrebbe beneficiato di un’apparizione in cui Gesù si sarebbe mostrato nelle vesti del Misericordioso e avrebbe ordinato alla religiosa di riprodurre con esattezza tale immagine; aggiungendo ancora una volta una promessa:

L’Anima che venererà questa immagine non perirà. Le prometto, ancora sulla Terra, la vittoria sui nemici, ma specialmente in punto di morte. Io, il Signore, la proteggerò come Mia Gloria. I raggi del Mio Cuore significano Sangue ed Acqua, e riparano le Anime dall’ira del Padre Mio. Beato chi vive alla loro ombra, poiché non lo raggiungerà la mano della Giustizia Divina. Proteggerò, come una madre protegge il suo bambino, le anime che diffonderanno il culto alla Mia Misericordia, per tutta la loro vita; nell’ora della loro morte, non sarò per loro Giudice ma Salvatore..

Insieme all’immagine, Suor Faustina riceve anche la rivelazione della Coroncina della Divina Misericordia, una versione breve del Rosario[2] a cui il Cristo stesso avrebbe attribuito un’importanza straordinaria, specie, ma non solo, in articulo mortis:

“Concederò grazie senza numero a chi recita questa Corona. Se recitata accanto ad un morente non sarò giusto Giudice, ma Salvatore”.

Sempre Suor Faustina avrebbe ricevuto dal Cristo l’intenzione che la Chiesa dedicasse un giorno speciale alla sua Divina Misericordia:

Desidero che la prima domenica dopo Pasqua sia la Festa della Mia Misericordia. Figlia Mia, parla a tutto il mondo della Mia incommensurabile Misericordia! L’Anima che in quel giorno si sarà confessata e comunicata, otterrà piena remissione di colpe e castighi. Desidero che questa Festa si celebri solennemente in tutta la Chiesa.”

Tale desiderio sarà ottemperato da Giovanni Paolo II, nell’anno 2000, con l’istituzione della Festa della Divina Misericordia nell’Ottava di Pasqua (Domenica “in Albis”).

I doni dell’Undicesima Ora.

Giunti infine al termine di questa lunga carrellata di promesse e devozioni, di fede e di miracoli, di storia e metastoria, non pretendiamo certo che tutti i dubbi del lettore (e in verità anche i nostri) siano semplicemente svaniti come nebbia al sole: molto di ciò che è stato raccontato, infatti, darà forse il là più a domande che a risposte. E tuttavia, volendo seguire la sottile linea rossa che sembrerebbe collegare tali eventi, non può non emergere una costante: questi interventi della Misericordia Divina, infatti, apparirebbero strettamente collegati a quella gigantesca crisi spirituale che va sotto il nome di “mondo moderno”, il quale, visto da tale prospettiva, null’altro sarebbe se non il drammatico preludio alla Fine dei Tempi! Ed è questo, forse, uno degli aspetti della vicenda che più sconcerta e infastidisce molti di noi, credenti compresi: dove sono, dunque, le magnifiche sorti e progressive che ci hanno insegnato a scuola? Dov’è, in tutto ciò, l’idea del progresso indefinito dell’umanità che persino molti cristiani sembrano aver sposato entusiasticamente negli ultimi decenni? Dov’è il “paradiso in terra” dell’umanità naturaliter cristiana del cui avvento c’hanno parlato anche illustri teologi?

Le “rivelazioni” di cui sopra, al contrario, sembrerebbero offrire una visione della storia e del mondo radicalmente opposta: nessun “paradiso in terra” costruito dall’ingegno umano ci attende, quanto piuttosto la “fine delle fini”, la Grande Purificazione di un mondo impazzito e senza Dio, nel cui drammatico contesto, tuttavia, l’uomo non è lasciato da solo, ma viene anzi assistito come non mai da segni potenti ed effusioni straordinarie di Grazia (perché, come scrive l’Apostolo, “la grazia sovrabbonda dove abbonda il peccato”[3]).

Perché, bisogna riconoscere, se solo per un attimo volessimo scegliere davvero di dar credito alle “rivelazioni” di cui abbiamo trattato in quest’articolo, forse alcuni dubbi potrebbero anche risolversi: se con occhio oggettivo (e soprattutto cristiano) volessimo infatti giudicare i tempi in cui viviamo (e in cui, in verità, ci trasciniamo da più di due secoli), non apparirebbe forse in tutta la sua crudezza la realtà di un mondo il cui “progresso” è stato, innanzitutto, un “conquistare la terra dimenticando la propria anima”, nello sforzo costante di cancellare Dio da ogni aspetto della vita e della coscienza? E oggi come oggi, essendo questo processo giunto al suo limite estremo, non possiamo non constatare (sempre volendo guardare le cose con occhio cristiano) quanto la Salvezza sia, apparentemente, lontana dalle vite degli uomini, per la maggior parte dei quali oggi è divenuto difficile (saremmo tentati di dire impossibile) vivere una vita di Grazia? Le “impossibili promesse” sono dunque la Risposta del Cielo a questa condizione obbiettivamente senza precedenti in cui langue l’umanità? Sono forse queste almeno alcune di quelle “grazie sovrabbondanti” che ci sono state promesse fin nelle Scritture? Ed è in questo contesto, dunque, che va letta la prospettiva inusitata di poter accedere ad una “salvezza a poco prezzo”?

Scrive il Vangelo di Matteo a proposito degli operai dell’Undicesima Ora (l’ultima delle ore):

“Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”[4].

Ma è poi davvero giusto dire che tale Salvezza sarebbe svenduta a “poco prezzo” dalle “incredibili promesse” di cui abbiamo parlato, se solo si pensa che, nel mondo secolarizzato di oggi, è già un miracolo trovare qualcuno che sia disposto, superando dubbi, pregiudizi o semplicemente noia, a sottoporsi a nove o cinque messe di seguito o a recitare una breve Coroncina davanti ad un parente moribondo (il quale, come ben sappiamo, secondo la mentalità moderna deve essere tenuto fino alla fine all’oscuro del suo destino per paura che …si spaventi)?

E se la vera tragedia spirituale del mondo d’oggi fosse non tanto “l’assenza della Grazia” o “il silenzio di Dio” immaginato da certi teologi, ma semplicemente l’accidia di chi è troppo stanco e sazio persino da alzarsi dal suo divano per andare a prendere la paga (im)meritata che gli offre il suo Signore?

[1] Le condizioni del Privilegio Sabatino sono: 1) Portare, giorno e notte indosso, l’«Abitino», come per la Prima Grande Promessa; 2) Essere iscritti nei registri di una Confraternita Carmelitana ed essere, quindi, confratelli Carmelitani; 3) Osservare la castità secondo il proprio stato; 4) Recitare ogni giorno le ore canoniche (cioè l’Ufficio Divino o il Piccolo Ufficio della Madonna). Chi non sappia recitare queste preghiere, dovrebbe osservare i digiuni della S. Chiesa (salvo se non è dispensato per legittima causa) e astenersi dalle carni, nel mercoledì e nel sabato per la Madonna e nel venerdì per Gesù, eccettuato il giorno del S. Natale.

[2] La coroncina della Divina Misericordia si recita utilizzando la normale corona di un rosario.

Si inizia recitando, dopo il segno della croce, un Padre nostro, un Ave Maria e il Credo (nella versione del “Simbolo degli Apostoli“).

Sui cinque grani maggiori del rosario si dice: «Eterno Padre, io Ti offro il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità del Tuo dilettissimo Figlio e Signore Nostro, Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli di tutto il mondo.»

Sui cinquanta grani minori si dice: «Per la Sua dolorosa Passione, abbi misericordia di noi e del mondo intero.»

Al termine si dice per tre volte: «Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi e del mondo intero.»

La preghiera termina con la seguente invocazione: «O Sangue ed Acqua che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di misericordia per noi, confido in te!»; ed infine nuovamente il segno della croce.

L’ora della giornata particolarmente consigliata per la recitazione sono le Tre del pomeriggio, che secondo la tradizione è il momento del Sacrificio di Cristo sulla croce.

[3] Matteo 19, 8-16

G.Marletta, “LA GUERRA DEL TEMPIO. Escatologia e storia del conflitto mediorientale” (Indice dei Capitoli/paragrafi)

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Gianluca Marletta, LA GUERRA DEL TEMPIO. Escatologia e storia del conflitto mediorientale. Prefazione di Maurizio Blondet, postfazione di Carlo Corbucci. Ed. Irfàn, euro 14, 50.

“La guerra perpetua che infiamma il Medio Oriente – e che minaccia il mondo intero – non è solo il risultato di cause economiche e strategiche: dietro questa facciata si muovono ragioni sconosciute ai più e inconfessabili. L’autore ripercorre la storia della Terra Santa e di Gerusalemme quali “luoghi fatali” dall’antichità ai nostri giorni, in un intreccio inestricabile di religione e politica, profezia e attualità. Dalla distruzione del Tempio ad opera dei Romani alle profezie dell’apocalittica cristiana; dal messianismo ebraico all’escatologia islamica; fino all’età moderna, con l’avvento del Sionismo, la nascita dello stato d’Israele, il successo dell’ideologia neoconservatrice, della setta islamica wahhabita e persino gli annunci di un (prossimo) avvento del Cristo (o dell’Anticristo). Un vortice inesorabile di presagi, aspirazioni, interessi politici, attese apocalittiche, che spingono fatalmente il Medio Oriente e il mondo intero verso un drammatico epilogo che sembra già svolgersi davanti ai nostri occhi”.

INDICE DEI CAPITOLI E DEI PARAGRAFI

Prefazione di Maurizio Blondet

Introduzione – “Gerusalemme: dove la cronaca si incontra con la teologia”

  • I 14 ettari più contesi del mondo
  • L’ombra delle profezie
  • Apocalisse, politica e petrolio: la polveriera mediorientale

Capitolo 1 – 70 D.C. L’ANNO DEL DESTINO

  • Il tempo del Messia?
  • Il Tempio più grande sotto il cielo
  • “Una tribolazione così grande come mai prima”
  • Tremendi presagi
  • “Da questo luogo noi ce ne andiamo”. L’interruzione del rito ebraico

Capitolo 2 – LA RISPOSTA DEL CRISTIANESIMO

  • “Perché non hai riconosciuto il tempo quando sei stata visitata”
  • Una testimonianza extra-cristiana?
  • Il Terzo Tempio sarà sede dell’Anticristo?
  • Armagheddon o della battaglia escatologica
  • “Fuoco dalla terra”. La testimonianza di Ammiano Marcellino

Capitolo 3 – L’EBRAISMO DELL’ESILIO E LE SUE ATTESE

  • La spiritualità dell’Esilio
  • Chi è il Messia per l’Ebraismo della Diaspora?
  • Chi ricostruirà il Tempio?

Capitolo 4 – DALL’INVASIONE DI COSROE ALL’AVVENTO DELL’ISLAM

  • Il governo ebraico di Gerusalemme e il massacro dei Cristiani
  • La “guerra santa” dell’imperatore Eraclio
  • Il califfo Omar riconsacra la spianata del Tempio

Capitolo 5 – AL-QUDS: LA CITTA’ ESCATOLOGICA

  • Gerusalemme centro sacro dell’Islam e il simbolismo di Isra e Mi’raj
  • Lo scenario dei tempi ultimi nell’escatologia islamica
  • Gerusalemme, il Dajjal e il ritorno di Cristo
  • Altri hadith escatologici

Capitolo 6 – L’ETA’ MODERNA E IL RITORNO DEL “MESSIANISMO POLITICO”

  • Il neo-messianismo ebraico
  • Il “messianismo blasfemo” di Shabbatai Zevi
  • Oltre Shabbatai Zevi: il Frankismo
  • La risposta del Chassidismo

Capitolo 7 – DALLA SECOLARIZZAZIONE AL SIONISMO

  • L’Ebraismo e la modernità
  • Messianismo religioso e messianismo secolarizzato
  • Messia “individuo” o Messia “nazione”?
  • Il Sionismo
  • Sionismo e religione: dallo scontro all’incontro
  • Tra nazionalismo laico e religione: il “messianismo sionista”

Capitolo 8 – IL PARADOSSO DEL “SIONISMO CRISTIANO”

  • Dietro le quinte della Dichiarazione Balfour
  • Il “sionismo” ante litteram del protestantesimo anglo-sassone
  • Il “nuovo Israele” britannico e americano
  • L’escatologia “selvaggia” dei Dispensazionalisti
  • L’Apocalisse al potere: dispensazionalismo e politica estera americana

Capitolo 9 – IL NEOCONSERVATORISMO: UNA “GNOSI ATEA” IN GUERRA CON IL MONDO

  • Tra Nietzesche e Trotsky: le radici di un’ideologia ambigua
  • I Neocons alla conquista del Cattolicesimo “identitario”
  • Il “Neoconservatorismo cattolico”
  • Agenti neocons in campo cattolico: il curioso caso degli “atei devoti”

Capitolo 10 – WAHHABISMO, O DEL “PROTESTANTESIMO ISLAMICO”

  • Il “Lutero dell’Islam” e la conquista della Penisola Araba
  • L’alleanza tra Wahhabismo e Impero Britannico
  • Dall’alleanza con gli Stati Uniti alla globalizzazione del Wahhabismo
  • “L’inusitata alleanza” tra wahhabiti, neocons e sionisti
  • Dal possibile “scisma ortodosso” all’affermazione del “sala-sciismo”
  • Dal terrorismo allo scontro globale

Postfazione di Carlo Corbucci

 

FONDAMENTI DELL’APOCALITTICA CRISTIANA. I “SEGNI DEI TEMPI” NELLE SCRITTURE

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L’apocalittica è tornata “di moda” per ragioni culturali e di attualità, sia all’interno che al di fuori del “mondo cristiano”. Proprio per questo, nel florilegio sempre più incontrollabile di interpretazioni, messaggi, rivelazioni di veri o presunti “veggenti” annuncianti il compimento dei “tempi finali”, ci sembra più che mai importante fare chiarezza a partire essenzialmente dalle sue fonti scritturali e dalle Tradizione.

TESTI DI RIFERIMENTO DELL’APOCALITTICA CRISTIANA

Prima di entrare nel vivo delle tematiche da affrontare, ci sembra necessario inserire un breve vademecum sui testi di carattere profetico-apocalittico presenti nel Nuovo Testamento.

Questi possono compendiarsi nei seguenti gruppi:

  • I passi “apocalittici” ed “escatologici” presenti nei Quattro Vangeli canonici, primo fra tutti il lungo Discorso Escatologico presente al cap. 24 del Vangelo di Matteo e quelli, paralleli, presenti in Marco e Luca.
  • I riferimenti sparsi nelle Lettere Apostoliche – soprattutto in quelle attribuite a Paolo e Giovanni.
  • Un discorso a parte merita il Libro dell’Apocalisse attribuita a San Giovanni Apostolo, ultimo libro del Nuovo Testamento. Questo libro, che ha dato il nome stesso alla letteratura “apocalittica”, è caratterizzato da un complesso e non di rado criptico linguaggio simbolico. Complessa –e non riassumibile in questa sede- è anche la storia dell’esegesi del libro. C’è persino chi, in epoche recenti, ha sostanzialmente negato il valore escatologico dell’Apocalisse, sostenendo che essa contenga, in realtà, solo una metafora delle persecuzioni e delle tribolazioni subite dalla comunità cristiana nel I secolo. Tuttavia, negare l’intenzione escatologica del libro significa, di fatto, negare le parole stesse dell’autore, che nel suo incipit afferma esplicitamente di voler trattare «le cose che debbono accadere»[1] e, al tempo stesso, negare quel principio esegetico tradizionale che è il valore “simbolico” degli eventi storici; per cui, un evento particolare può assumere il significato di anticipazione e figura degli eventi escatologici (l’esempio più evidente, nei Vangeli, sono le previsioni sulla caduta di Gerusalemme, concretamente avvenuta nel 70 ad opera dei Romani, i quali si mescolano molto spesso indissolubilmente a riferimenti apocalittici. La Caduta di Gerusalemme, infatti, diviene il “modello” simbolico anche per gli eventi che accadranno alla fine dei tempi).

I SEGNI DELLA FINE

L’apocalittica cristiana contiene delle costanti che si ripropongono costantemente: sono quelli che, a tutti gli effetti, possono definirsi come i “segni” annunzianti la fine dei tempi. In concreto, potremmo riassumerli nei seguenti punti:

  • L’APOSTASIA DELLE GENTI

La tradizione cristiana è univoca nell’affermare che la fine dei tempi verrà annunciata da una drammatica crisi spirituale a cui andrà incontro l’umanità ultima. Nessuna prospettiva “progressista” della storia può, dunque, conciliarsi con la visione escatologica cristiana. Del resto, é lo stesso Gesù, nei Vangeli, a chiedersi in prima persona: «il Figlio dell’Uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?»[2].

A partire dall’insegnamento del Maestro, gli Apostoli hanno approfondito, con dovizia di particolari, quello che sarà lo “scenario umano” dei tempi finali. Così, ad esempio, San Paolo descrive una società dove la fede è stata abbandonatasenza religione– sostanzialmente dominata dall’animalità e dalle passioni inferiori: «Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, attaccati ai piaceri più che a Dio»[3].

Sempre Paolo, nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi, parla esplicitamente del “rinnegamento della fede” che caratterizzerà i Tempi Ultimi, arrivando ad usare il termine «apostasia»[4] (rinnegamento) che sarà uno dei segni della Fine. Il parlare di apostasia, d’altronde, implica che Paolo prevede un momento in cui la fede cristiana sarà prima largamente “accettata” e poi apostatata, poiché è evidente che non si può apostatare da qualcosa che non si è precedentemente posseduto.

Questa apostasia, unita alla perdita d’ogni riferimento spirituale solido, renderà i tempi finali un momento in cui regnerà un relativismo totale: «Verrà un tempo, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma gli uomini si circonderanno di una folla di maestri secondo i propri capricci, facendosi solleticare le orecchie, e storneranno l’udito dalla verità per volgersi alle favole»[5].

Questo scenario di disordine e di confusione sarà però solo lo sfondo su cui si manifesteranno eventi ancor più drammatici, che rappresenteranno, per così dire, l’humus sul quale metterà radici il regno dell’Anticristo.

  • LO SCONVOLGIMENTO NELL’ORDINE DELLA NATURA

Nella visione biblica e, in genere, tradizionale della realtà, l’uomo e il cosmo sono considerati realtà strettamente interdipendenti (si veda l’episodio della “caduta di Adamo” in Genesi). Contrariamente a quanto sono portati a pensare i moderni, dunque, la disarmonia o il “peccato” del singolo non appartengono solo alla realtà “personale” dell’individuo – e nemmeno solo alla dimensione sociale – ma possiedono addirittura, per vie sottili ed invisibili, il potere di coinvolgere e sconvolgere il cosmo. Così, secondo la tradizione apostolica e quella patristica successiva, sarà inevitabile che la decadenza spirituale dei Tempi Ultimi non “contagi” anche il mondo della natura e dell’infraumano.

Nei Quattro Vangeli si trovano solo accenni fugaci agli sconvolgimenti dell’ordine naturale; fra tutti, è soprattutto il Vangelo di Luca quello che vi si sofferma maggiormente. In un contesto di generale caos umano e sociale – «sentirete parlare di guerre e rivoluzioni»[6]– Gesù profetizza anche che: «Ci saranno dappertutto terremoti, carestie e pestilenze: vi saranno anche fenomeni spaventosi e segni grandiosi dal cielo»[7]; e inoltre: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; e sulla terra angoscia di popoli in preda allo smarrimento per il fragore del mare e dei flutti. (…) Le potenze dei cieli saranno scosse»[8].

Nel linguaggio fortemente simbolico dell’Apocalisse di Giovanni, gli sconvolgimenti cosmici dei Tempi Ultimi sono visti come altrettante punizioni divine verso i peccati dell’uomo. Nei cap. VIII e IX, infatti, troviamo l’immagine degli angeli che suonano le sette trombe ad ognuna delle quali corrisponde un flagello che si abbatte sulla natura sconvolgendola e avvelenandola. La causa prima di tali sconvolgimenti, tuttavia, è l’uomo stesso che si è allontanato da Dio. Al cap. 11, in effetti, si parla del tempo del giudizio in cui Dio distruggerà «coloro che distruggono la terra»[9].

Le catastrofi, sia sul piano umano che naturale, non sono tuttavia un male fine a se stesso; sono anzi il segno che Dio è prossimo ad operare la più grande delle sue opere, la trasformazione finale del mondo. Ed con queste parole, infatti, che Gesù annunzia la speranza ultima ai suoi Apostoli: «Ma quando cominceranno ad accadere tutte queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione é vicina[10].

  • L’AVVENTO DELL’ANTICRISTO

Nel Nuovo Testamento, la figura comunemente chiamata “anticristo” è presente con diversi appellativi l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’iniquo, la bestia o, appunto, l’Anticristo, termine quest’ultimo presente solo nelle lettere di Giovanni[11]. Generalmente identificato come una figura storica – o con un movimento storico, o ambedue le cose – destinata a manifestarsi nei Tempi Ultimi sotto forma di un dominio universale che diffonderà una falsa religiosità su tutta la terra e combatterà i credenti in Cristo, l’Anticristo deve essere visto, innanzitutto, come un falso Cristo, una parodia del Cristo vero che, prima del vero ritorno del Messia, si dissimulerà davanti agli occhi degli uomini, ingannandoli. Come afferma San Paolo: «Prima infatti dovrà venire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio»[12].

Anche nell’Apocalisse di Giovanni, questa figura possiede le caratteristiche “mimetiche” del perfetto ingannatore, di una forza di tenebra che non si presenta come tale ma come apparenza di luce: «Aveva due corna come un agnello (simbolo di Cristo, n.d.a.) ma parlava come un drago»[13].

Questa caratteristica parodistica e persino grottesca dell’anticristo, è comprensibile solo alla luce della visione cristiana e tradizionale della realtà e, in particolar modo, di quella realtà effimera ma terribile che è il male. Di fatto, nella tradizione cristiana quello che noi chiamiamo “male” è, metafisicamente parlando, un nulla. Il male, cioè, non è una forza contrapposta al bene quasi che possa situarsi sullo stesso piano, ma, tutt’al più, una mancanza di bene o, meglio ancora, un aspetto parziale della realtà. Pertanto, essendo un nulla, il male non può creare nulla e pertanto, il culmine che esso può raggiungere concretamente, è quello di essere ombra del bene, contraffazione, Satana simia Dei, come afferma la teologia cristiana[14].

L’Anticristo è innanzitutto il “grande seduttore”: nel contesto dei tribolati e decadenti Tempi Ultimi, egli rappresenta la personificazione stessa dello spirito dell’epoca, colui che porta a compimento le “istanze” di degrado morale e spirituale che la caratterizzeranno. Per questo, per il suo essere in sintonia coi tempi, egli conoscerà un seguito sterminato; come descrive l’Apocalisse: «Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. (…) L’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita»[15].

  • LA RELIGIONE DELL’ANTICRISTO E IL SUO DOMINIO UNIVERSALE

Per poter divenire realmente parodia del Cristo, l’anticristo dovrà manifestarsi, paradossalmente, come una figura con caratteristiche religiose. Se è vero, infatti, che egli si manifesta in un’epoca “senza religione” e si contrapporrà ad “ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto”, questo avverrà però solo perché il suo scopo vero è quello di “innalzarsi” al di sopra di tutto, “additando se stesso come Dio”. Da questo punto di vista, egli incarnerà perfettamente quell’anelito satanico a “farsi dio” che già abbiamo visto essere causa della Caduta di Adamo.

Nell’ambito di questa parodia religiosa, peraltro, un’importanza fondamentale la avranno i cosiddetti “prodigi”: ed è questo un aspetto su cui ritornano con grande frequenza sia dagli autori del Nuovo Testamento che i primi Padri della Chiesa. Come Cristo, infatti, si è manifestato agli uomini anche attraverso i segni miracolosi, così pure l’Anticristo si adombrerà di un’aura prodigiosa. Nel Vangelo di Matteo, è lo stesso Gesù che ammonisce i discepoli riguardo ai futuri “falsi profeti” affermando, tra l’altro che essi «faranno grandi portenti e miracoli così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti»[16]. San Paolo, da parte sua, afferma anche che «la sua venuta (dell’Anticristo n.d.a) avverrà nella potenza di Satana, con ogni sorta di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno»[17].

I prodigi dell’Anticristo, tuttavia, saranno solo in apparenza identici a quelli di Cristo: perché mentre i miracoli di Gesù sono il riflesso della sua potenza divina, i portenti dell’anticristo – che, con un’espressione moderna, potremmo definire facoltà paranormali – non saranno altro che il riverbero di una magia infernale spettacolare quanto vana; e sarà solo a causa dell’incapacità di discernimento dell’umanità coeva che l’Ingannatore potrà esercitare un tale potere seduttivo.

L’analogia inversa tra Cristo e l’Anticristo, non si esaurisce ai prodigi. Alla Gerusalemme celeste promessa da Cristo, l’Anticristo opporrà lo scenario di una Gerusalemme terrestre centro del suo dominio universale e di un regno “invertito” universale. Il regno effimero ma terribile dell’Anticristo non comprenderà infatti un solo popolo, ma tutte le stirpi e tutte le genti, quale parodia perfetta del Regno promesso da Cristo a “tutte le genti”: e questo “potere mondiale” è simbolicamente descritto, nell’Apocalisse, con l’immagine della Grande Babilonia, la prostituta dominatrice del mondo, sulla cui descrizione influiscono, con evidenza, immagini di realtà coeve all’autore[18]. L’autore dell’Apocalisse descrive la base del potere dell’anticristo e del successo di Babilonia nella capacità di controllare la ricchezza e l’economia: «Si adoperava, inoltre, che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, fosse impresso sulla destra o sulla fronte un marchio, e che nessuno potesse comprare o vendere se non portava il marchio, il nome della bestia o il numero del suo nome»[19].  Un potere, dunque, fondato sul controllo universale degli scambi e della ricchezza e, per questo, apparentemente intangibile e indistruttibile.

LA PARUSIA DEL CRISTO

Nelle Scritture è anche variamente descritta la battaglia escatologica – Armagheddon – che opporrà le forze anticristiche all’”accampamento dei Giusti”; e tuttavia, solo al Cristo del secondo avvento (Parusia) è destinata la vittoria sull’Empio.

Malgrado il suo potere, infatti, il regno dell’Anticristo è pur sempre una creazione del tutto illusoria, perché basato sulla negazione dell’Essere. Ora, essendo la negazione dell’Essere (senza il quale, per l’appunto, nulla può esistere) una possibilità irrealizzabile, è evidente che la “grande parodia” dell’Anticristo non potrà mai essere altro che una realtà instabile e, in ultima analisi, effimera. Il ritorno di Cristo, pertanto, metterà fine al regno dell’Iniquo istantaneamente; e se per i Giusti permane il sacro dovere della lotta, solo al Giusto per eccellenza sarà concessa la vittoria.

La vittoria del Giusto, come detto, sarà subitanea, e coinciderà con la Sua riapparizione. Proprio nel momento dell’apparente trionfo, infatti, il male sarà spazzato via: «il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta»[20].

LE GRAZIE SPECIALI DEI TEMPI FINALI

Al di là della prospettiva “dualista”, pertanto, anche i tempi ultimi con la loro “sovversione universale” vanno considerati come un aspetto del Disegno divino: persino il regno terribile dell’Anticristo, in quest’ottica, è “permesso” in vista di uno Scopo più alto. Lo stesso scontro tra Cristo e l’Anticristo – pur reale e drammatico sul suo piano – non deve essere inteso come il conflitto tra due forze alla pari, perché tale non è, non potendoci essere alcun tipo di equivalenza tra l’Essere e il nulla.

E’ in questa prospettiva, peraltro, che va intesa anche la questione delle grazie straordinarie che devono essere erogate a beneficio degli uomini dei Tempi Ultimi: grazie non attingibili in altri momenti del divenire storico, come adombrato anche nel celebre passo di San Paolo che recita «dove abbonda il peccato la Grazia sovrabbonda»[21]. La Bilancia cosmica della manifestazione, infatti, non tollera squilibri in assoluto, e se un’epoca di “tentazione” e smarrimento viene permessa è solo affinché si manifestino possibilità spirituali superiori, difficili da attingere in altri tempi.

Tra questi “doni finali”, un posto particolare avrà la profezia, come annuncia il profeta Gioele: «Non temere, o terra del paese, rallegrati, perché il Signore ha fatto cose grandi! (…) Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni. Anche sui servi e sulle serve, spargerò in quei giorni il mio spirito»[22].

Accanto alle manifestazioni del falso spirito e del falso profeta, dunque, lo Spirito di Dio si manifesterà ai giusti in maniera mai vista prima, e persino la conoscenza spirituale aumenterà, in proporzione all’apparente dominio dell’inganno e della falsità, come annuncia il Libro di Daniele: «Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine: allora molti lo scorreranno e la loro conoscenza sarà accresciuta»[23].

Per questo, a coloro ai quali è stato concesso l’onere e l’onore di sfidare le tenebre nei tempi finali, sarà concessa anche una gloria più grande, poiché «essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello»[24].

Agli uomini dei Tempi Ultimi, provati fin nell’intimo dalle sirene dell’inganno e della mistificazione, è sufficiente infatti “rimanere in piedi” per dimostrare la propria fede e fedeltà, e ad essi si riferiscono le parole dell’abate Ischirione – padre del deserto – che interrogato dai suoi discepoli a motivo dei Tempi Ultimi, così rispondeva loro: «Quella generazione a venire (l’ultima, n.d.a.) non avrà nessuna buona opera. Ma vedo le loro tentazioni: e quelli che avranno fatto le loro prove in quell’epoca saranno migliori di noi e dei nostri padri»[25].

Anche per questo, «molti fra gli ultimi saranno primi e i primi ultimi»[26].


 

[1] Apocalisse 1, 1. Lo stesso concetto è ribadito al versetto 4, 1: «Sali quassù, ti mostrerò ciò che dovrà accadere».

[2] Luca 18, 8

[3] 1Timoteo 3, 1-4

[4] 2Tessalonicesi 2, 3

[5] 2Timoteo 4, 3-4

[6] Luca 21, 9

[7] Luca 21, 11

[8] Luca 21, 25. Da questo punto di vista, interessante è l’accenno alle potenze del cielo sconvolte il che, se letto nell’ottica di una concezione cosmologica antica in cui ciò che avviene in terra è il riflesso di ciò che accade in cielo, vuol significare che l’ordine naturale delle cose sarà turbato nelle sue radici.

[9] Apocalisse 11, 18

[10] Luca 21, 28

[11] Sono solo tre i passi del Nuovo Testamento –tutti compresi nel corpus giovanneo- dove ricorre l’appellativo di “anticristo”: 1Giovanni 2, 22;  1Giovanni 4, 3; 2Giovanni 7.

[12] 2Tessalonicesi 2, 3-4

[13] Apocalisse 13, 11

[14]«Satana è la scimmia di Dio». Quest’espressione esprime il concetto per cui il male non può far altro che parodiare il bene. Anche San Paolo afferma che «Satana si maschera da angelo di luce» (2Corinzi 11, 14).

[15] Apocalisse 13, 4-8

[16] Matteo 24, 23-24

[17] 2Tessalonicesi 2, 9-10

[18] E’ evidente, in alcuni punti dell’Apocalisse, come la descrizione della Grande Babilonia risenta del confronto con la Roma pagana e decadente dell’epoca, vera “babele” di popoli e di lingue, dominata da un potere assoluto autoproclamatosi divino. Al tempo stesso, un altro modello a cui l’autore attinge per la sua descrizione è certamente quello della Gerusalemme giudaica che ha rifiutato Cristo -«la grande città, che allegoricamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocefisso» (Apocalisse 11, 8). Sia la Roma pagana che la Gerusalemme giudaica vanno considerate, tuttavia, come “figure” della futura città dell’anticristo –in sintonia con un modello tipico della letteratura biblica- ed è vano ricercare identificazioni letterali con queste realtà storiche.

[19] Apocalisse 13, 16-17

[20] 2Tessalonicesi 2, 7

[21] Romani 5, 20

[22] Gioele 2, 21-29

[23] Daniele 12, 4

[24] Apocalisse 7, 14

[25] Cit. in C.Campo/P.Draghi (a cura di), Detti e fatti dei Padri del deserto, Milano 1999, p. 131

[26] Matteo 20, 16

Gabriel Urgebadze: consigli per i Cristiani dei “tempi ultimi”

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Il monaco georgiano Gabriele (al secolo Goderdzi Vassilievich Urgebadze) è nato a Tbilisi il 26 Agosto 1929. Era noto per la sua capacità di leggere i cuori delle persone, prevedere il futuro, guarire con le sue preghiere, ma il più grande dono era quello dell’Amore e della consolazione per le persone che venivano da lui chiedendo le sue sante preghiere. Fu duramente perseguitato nel periodo sovietico, subendo il carcere e anche il manicomio per la sua fede. Il 2 Novembre 1995 l’archimandrita Gabriel si addormentò nel Signore. Il Padre fu sepolto nel cortile del convento Samtavro dove, in un piccolo vaso, è tuttora devotamente preservato il sangue miracoloso di Padre Gabriele che non si è coagulato, il quale gli è stato prelevato pochi giorni prima della morte. Di lui rimangono, oltre ai consigli spirituali, anche alcune profezie (ma forse sarebbe meglio chiamarle consigli) per gli uomini che, a breve, avrebbero dovuto affrontare “i tempi ultimi”. Qui di seguito ne riportiamo alcune:

(Negli ultimi tempi) I sostenitori dell’anticristo andranno in giro svestiti. I Cristiani invece saranno vestiti decentemente. Secondo i Canoni della Chiesa, una donna non deve indossare abbigliamento da uomo. Da come si vestite una persona, si vede la sua condizione spirituale.

Negli ultimi tempi non guardate il cielo: rischierete di essere attratti dalle meraviglie che accadranno lassù, commetterete un errore e perirete.

I prodotti che portano il segno dell’Anticristo non potranno farvi del male. Questo non è ancora il marchio. Bisogna recitare la preghiera “Padre Nostro”, farci sopra il segno della croce, spruzzarli con l’acqua santa – e quindi ogni cibo sarà consacrato.

Il diavolo ha 666 reti. Ai tempi dell’anticristo la gente attenderà la salvezza che viene dal cosmo. Questo sarà il più grande trucco del diavolo: il genere umano cercherà l’aiuto degli alieni, non sapendo che sono demoni.

Se ruberai, tu violerai uno dei Dieci Comandamenti. Chi lo farà – accetterà in questo modo anche l’anticristo. Un uomo credente avrà fiducia solo in Dio. E il Signore in questi ultimi tempi farà tali prodigi per il Suo popolo, che una foglia d’albero basterà per un mese. E la terra non si seccherà, tu farai sopra il segno della Croce, e lei ti darà del pane.

Non abbiate paura, ricordate: l’importante è non prendere il marchio dell’anticristo sulla mano destra o sulla fronte. Non mangiate il pane di un uomo che ha preso il marchio dell’anticristo.

Ora stanno iniziando accadere gli eventi più importanti. Un tale pericolo non c’è stato mai sulla terra, fin dalla creazione del mondo. Questo è l’ultimo… Immaginate una madre di cinque figli, come dovrebbe nutrire i bambini, senza accettare il marchio dell’anticristo? Vedete, quali trappole ha preparato l’anticristo per la gente. In un primo tempo, sarà tutto opzionale. Ma quando l’anticristo regnerà e diventerà il sovrano del mondo, inizierà a costringere tutti ad accettare questo marchio. Coloro che non lo prenderanno, saranno annunciati come traditori. Allora sarà necessario andare nei boschi, andate in 10-15 persone, insieme. Da soli o in due non andate perchè non vi salverete… Vi custodirà lo Spirito Santo. Mai perdere la speranza. Dio vi darà la saggezza e illuminerà su che cosa fare.

Per i cristiani il più grande tormento sarà il fatto che loro stessi andranno nei boschi, e i loro famigliari accetteranno il marchio dell’anticristo”.


Gianluca Marletta – Paolo Gulisano, L’ULTIMA RELIGIONE. DALL’EUGENETICA ALLA PANDEMIA: L’ALBA DI UNA NUOVA ERA?

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“L’ultima religione è l’idolatria universale: la Fratellanza globale, il Buonismo globale, la dea Salute, l’ecologismo radicale, il sogno di un mondo trans-umano e, in definitiva, anti-umano. Una religione che si impone oggi ma che viene da lontano. Un processo – iniziato molto tempo fa – che giunge a compimento anche a causa della pandemia, agli investimenti di imprenditori a livello globale, alla resa della Chiesa. Questo libro descrive in maniera chiara, approfondita e documentata la storia di questa evoluzione – da Malthus a Singer, da Casaleggio all’OMS, e illustra gli scenari della rivoluzione del 2020 che si prefigge di realizzare un distopico mondo nuovo”.

INDICE dei CAPITOLI e dei PARAGRAFI

Introduzione. “IL TEMPO DEL PRECURSORE”: COME NASCE L’ULTIMA RELIGIONE

  • Credenze, dogmi ed escatologia dell’ultima religione
  • E poi venne il virus

Capitolo 1 – IN PRINCIPIO ERA MALTHUS

  • Tutto ha inizio con l’Impero britannico
  • L’auspicabile depopolazione
  • Gli “indiani indolenti e la cura delle carestie”
  • La catastrofe irlandese

Capitolo 2 – “FARE FIGLI FA SCHIFO”: COME SI IMPONE UN NUOVO PARADIGMA

  • Le “anticipazioni letterarie”
  • Altre distopie realizzatesi: “Il seme inquieto” di Burgess
  • Giganteschi poteri
  • Il “Club di Roma” e “limiti della crescita”: nasce il peccato mortale della nuova religione

Capitolo 3 – GAIA: L’ULTIMA DEA

  • Dalla “vendetta di Gaia” all’uomo- robot: transumanesimo e apocalittica in Lovelock
  • “Gaia is a new world order”: le profezie di Gianroberto Casaleggio
  • Prometeus: l’utopia che si fa Dio
  • Animalismo ed eugenetica: la morale del “mondo nuovo”

Capitolo 4 – L’ULTIMA RELIGIONE E LE RELIGIONI

  • La “religione al femminile” e la neo- stregoneria
  • L’ultima diga? La funzione di Benedetto XVI
  • Il cattolicesimo 2.0 di Jorge Bergoglio e l’indigenismo
  • In ginocchio davanti alla pachamama
  • C’era una volta: il rapporto (interrotto) fra cristianesimo e natura

Capitolo 5 – CATASTROFISMO ECOLOGICO

  • Tolkien, cantore della natura
  • L’idolatria e la paura: cosa si cela dietro il catastrofismo climatico?
  • L’allineamento vaticano all’ambientalismo catastrofista

Capitolo 6 – L’ULTIMO POPOLO ELETTO: MIGRANTI ED LGBT

  • Un inginocchiatoio per l’ultima religione
  • Il “santo migrante”: corpo eucaristico dell’ultima religione
  • Migranti e mondo nuovo: dal precariato globale al melting-pot
  • “Gender fluid”: l’atto finale

Capitolo 7 – IL TEMPO DEL COVID

  • Dalla Cina con terrore: il nuovo virus
  • Il mistero della spagnola
  • Covid19: l’alba del mondo nuovo?

Capitolo 8 – LA DEA SALUTE

  • Una Caporetto della scienza medica
  • Un virus chimera?
  • Progresso o regresso della medicina? L’abbandono del malato

Capitolo 9 – LA CHIESA COLLASSA DI FRONTE AL VIRUS

  • La chiesa: ospedale da campo o realtà virtuale?
  • Da Dio padre alla Terra madre: itinerari spirituali della postmodernità
  • L’Humana communitas nell’era della pandemia

Capitolo 10 – NON AVRAI ALTRA CURA CHE IL VACCINO

  • Il ritorno del totalitarismo: dal terrore alla dittatura sanitaria
  • Le controindicazioni del vaccino e l’effetto ADE
  • Il ruolo di Bill Gates
  • La complicità dell’OMS
  • Operazione “contagio volontario”
  • E poi venne lo Sputnik!

Capitolo 11 – L’APOCALISSE ATEA DELL’UMANESIMO

  • Prove di totalitarismo in Occidente
  • La gabbia del politicamente corretto
  • La Chiesa si è fatta inutile
  • Tempi ultimi?
  • Giocare a fare Dio: la scienza che va oltre l’umano

Conclusione. LE DISTOPIE REALIZZATE

  • 2030: fine del mondo?
  • Ritorno a Orwell
  • Messaggi ipnopedici
  • Non praevalebunt

LA PROFEZIA DI SAN PAISIOS SUL VIRUS, IL VACCINO OBBLIGATORIO E “IL MARCHIO” E’ AUTENTICA

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Confesso che, sulle prime, anch’io era piuttosto scettico rispetto alla presunta profezia del grande maestro spirituale ortodosso San Paisios del Monte Athos, riguardante una malattia e un vaccino che sarebbe stato imposto come anticipazione dell’apocalittico Marchio della Bestia. Questo fino a quando non mi sono ritrovato davanti il testo in greco della profezia, pubblicata nel 1999 (addirittura 23 anni fa!) all’interno di una raccolta di scritti di Paisios. Lo stupore nasce dall’incredibile somiglianza (quasi una fotografia) della realtà attuale, assolutamente impensabile in un uomo che ha lasciato questo mondo nel 1994…

Padre Paisios del monte Athos é stata una delle figure spirituali più importanti dell’Ortodossia greca dell’ultimo secolo. Uomo di profondissima spiritualità, San Paisios è noto anche per i doni di chiaroveggenza testimoniate da moltissime persone che hanno raccolto negli anni i suoi discorsi.

Nello specifico, la profezia sul “vaccino obbligatorio” e il suo ruolo sinistro è contenuta nel tomo dal titolo “Il risveglio spirituale”, pubblicato a Salonicco nel 1999 (in tempi assolutamente non sospetti), a pag. 101.

Il testo riportante le parole del santo afferma:

Poi cominceranno a uccidere anche gli umani. Hanno messo (con la tecnologia n.) un sigillo ai tonni e li stanno seguendo via satellite per vedere in che mare si trovano! Ora, appare di nuovo una malattia, per la quale trovano un vaccino che verrà reso obbligatorio e, nel farlo, gli applicheranno un sigillo. Quanta gente c’è già impressa con raggi laser, alcuni sulla fronte e altri sulla mano! In seguito, chiunque non sia timbrato con il numero 666 non potrà vendere, comprare, prendere in prestito, ottenere un prestito, essere nominato, ecc. Il contabile dice che con questo sistema l’Anticristo voleva prendere tutto il mondo e, se nessuno è nel sistema, non potrà lavorare, ecc. sia rosso, nero o bianco, cioè tutti. Sarà imposto da un sistema economico che controllerà l’economia mondiale, e solo coloro che hanno ricevuto il sigillo, il timbro 666, potranno commerciare.

Il sigillo (sfraghìs) rimanda al “marchio della Bestia” di cui parla Apocalisse. Secondo Padre Paisios (morto 28 anni fa) questo futuro “vaccino obbligatorio” sarà dunque l’inizio dell’imposizione di quel marchio senza il quale non si potrà “né comprare né vendere”.

E il testo prosegue affermando che questo sigillo traduce a livello corporeo la cifra 666 dell’Anticristo. Nel contesto generale dice che, per instaurare il suo regno, l’Anticristo si servirà di una serie di applicazioni, a diversi livelli, di questo marchio e sarà utilizzato per controllare il mondo intero in tutti i suoi processi fondamentali. Coloro i quali porteranno questi marchi soffriranno le pene descritte dal capitolo 10 dell’Apocalisse e arriveranno a masticarsi la lingua dal dolore. I non “segnati”, invece, troveranno in Cristo l’aiuto. .